Referendum costituzione di ottobre. Renzi sprona il Pd. Irrompe Verdini: la sinistra vada via

denis-verdiniPer i prossimi sei mesi «non dico che serve una tregua, ma occorre parlare al Paese. Io farò questo». Matteo Renzi, forse solo «un po’ stanchino», come Forrest Gump (ieri è volato da Bari all’Aquila), ha aperto con queste parole l’assemblea serale con i parlamentari, dopo aver chiuso, a metà pomeriggio, quella con gli organi locali del partito al Nazareno. Batte e ribatte su un solo tasto: il referendum costituzionale di ottobre. Delle elezioni Renzi non parla neppure, dell’azione del governo abbastanza, dell’Europa anche, ma il tema clou è il referendum.

Referendum rispetto a cui rifiuta la critica di personalizzazione: «Ma quale, ma dove? Immaginate che il giorno dopo perdiamo, tipo 52 a 48. Io vado lì e dico: ‘Mah bel risultato, abbiamo preso 48. Facciamo un compromesso. E continuiamo a fare le nomine in Rai’. Ma questo è Guerini!», motteggia Renzi, esibendosi in una (pessima) imitazione dell’intonazione lombarda del vicesegretario. Come a dire: se perdo, vado a casa.
E ai suoi parlamentari – alcuni assenti, un po’ a sfregio, altri scocciati – in un lungo discorso (senza annesso dibattito) ricorda che «il Pd si è preso un impegno: sei mesi a testa bassa, anzi a testa alta, di lavoro costante sul territorio. Smettiamo, se mai avessimo la tendenza, di giocare a catenaccio», scudiscia un Pd che lui trova «un po’ perplesso rispetto alla realtà».
«Si giochino i prossimi sei mesi all’attacco», ribadisce, accusandoli, appunto, di fare catenaccio contro la sua idea di calcio totale. Poi ancora una scudisciata: «È mai possibile che non abbiamo un minimo di orgoglio ed entusiasmo per quel che stiamo facendo?!».

Renzi  annuncia anche che si farà pure il suo comitato «con i miei ex compagni di classe», ma l’indicazione a deputati e senatori assai recalcitranti quella è: dovete farlo anche voi, un comitato a testa, e andare a cercare gli elettori, giorno e notte, ‘casa per casa’. Tolte le solite frecciate ai grillini («partito del familismo») e ai leghisti («il partito dei diamanti»), Renzi parla anche, ma poco, alla minoranza. Da un lato prova a rassicurarli sull’elettività dei futuri senatori (pacta sunt servanda), ma a quelli ostili, i bersaniani di Roberto Speranza, dice: «Smettiamo di farci le pulci tra noi, la gente ce ne sarà grata. Le discussioni interne lasciano il tempo che trovano».
La minoranza neppure replica (eppure Roberto Speranza, poche ore prima, in mezzo al Transatlantico di Montecitorio, prometteva fuoco e fiamme…) e l’assemblea, grata, si scioglie. Si sente solo l’eco lontano della voce di Pier Luigi Bersani, ma arriva dalla tv La 7 prima ancora che Renzi inizi a parlare. L’ex segretario critica il premier su tutti i fronti (riforme, lobby, Verdini) e avverte: «Nel Pd ci può essere qualcuno che partecipi ai comitati per il No». Poi, un po’ triste, ammette: «A me mi hanno mandato in Siberia» e incorona Speranza a futuro leader di una battaglia, quella del prossimo congresso Pd.

Il guaio è che, sempre dalla tv, Denis Verdini, leader di Ala, parla. E dice tante cose: rivendica il patto di governo col Pd, ammette che «siamo in maggioranza», chiede di cambiare l’Italicum «portando lo sbarramento dal 3% all’8%», ricorda che «Ala farà i suoi comitati per il Sì col Pd», ma soprattutto attacca duro, durissimo, la minoranza dem. «Il Pd di Cuperlo ha preso il 25% nel 2013. Il Pd del Nazareno ha preso il 40% alle Europee. Cuperlo? Lui è imbarazzante, non io. Vadano fino in fondo, io ho rotto con Berlusconi, la smettano di nascondersi». Insomma, Verdini manda a dire, papale papale, alla minoranza rompete, con il Pd e pure ‘le palle’. A lui. E a Renzi?

Il Resto del Carlino