Non è un mistero che l’Unione Europea sia vista dagli italiani come una mostruosa macchina burocratica buona solo per sfornare inutili ed insensate direttive. E come non provare insofferenza per un apparato che sperpera tempo, denaro e risorse per stabilire il grado di curvatura delle banane, il diametro dei cetrioli e la consistenza dei finocchi? Argomenti forse cari ai “diversamente orientati”, ma non ai cittadini comuni. Stanchi dell’irritazione popolare, le strapagate teste d’uovo di Bruxelles hanno pensato di rifarsi una verginità emanando una disposizione che vieta l’uso del termine signorina. Qualcuno nell’apprendere l’importantissimo diktat europeo, sarà sobbalzato dalla sedia, ma alla luce delle trasformazioni sociali in atto, il neo pamphlet ha una sua ragion d’essere. Nella società italiana, come del resto anche in quella Europea, sempre più donne hanno deciso di rimanere signorine a vita. Il problema verte, non tanto sul fatto che l’Europa detenga il più alto tasso di damigelle non sposate al mondo (tanto a fare figli ci pensano le donne islamiche), ma sull’interpretazione demodé e discriminatoria che l’opinione pubblica attribuisce al termine signorina. Vale a dire: nubile, bisbetica e verginella. Per preservare la purezza della lingua italiana da seccanti ingerenze linguistiche forestiere del tipo single, miss, madamoiselle, senorita, fraulein … non sarebbe il caso che l’UE ,consigliasse il ripristino dell’odioso, ma inequivocabile e chiarissimo sostantivo zitella?
Gianni Toffali