RICORDA un po’ il colonnello Kilgore di Apocalypse Now. Quando sente l’odore del napalm, Matteo Renzi si esalta. È il suo modo di fare: così in Senato procede come uno schiacciasassi. Tiene una linea chiara, netta che lascia a bocca aperta i personaggi della prima Repubblica. Prende alla sprovvista i Chiti, i Formigoni che lo vogliono ingabbiare e li tramortisce come ha fatto ieri, aggiudicandosi il primo round: il disegno di legge Boschi va in Aula oggi, saltando il passaggio in commissione. «Lo spread tra i favorevoli e i contrari sul calendario è stato quasi ottanta voti, si ripeterà nelle altre votazioni», gongolano a Palazzo Chigi a sera, quando tutto è compiuto. E il presidente Grasso deve chinare la testa ai desideri della maggioranza.
UNA VITTORIA costruita a tavolino. «Abbiamo lavorato bene», sorridono i renziani. «Un trappolone ben organizzato», rilancia la vendoliana De Petris. Di sicuro, gli uomini del premier hanno messo in campo tutto: lusinghe, minacce, avvertimenti. Spesso giocando a carte scoperte, come ha fatto Anna Finocchiaro anticipando il presidente del Senato e dichiarando in commissione inammissibili gli emendamenti al testo. Di qui, la tensione con Grasso nella conferenza dei capigruppo sulla calendarizzazione: «Ho letto che lei per garbo istituzionale non ha messo ai voti la proposta del comitato ristretto – la incalza l’ex pm –. Con lo stesso garbo le chiedo se ci sono margini per proseguire i lavori in commissione». Ruvida la risposta: «Le posizioni sono così radicate che bisogna andare ai piani alti della politica». Ovvero in Aula. Dove il presidente del Senato si riserva di dire la sua sul famigerato articolo 2 che determina l’elettività o meno dei senatori mercoledì. Non trova conferma la voce di una telefonata tra lui e Mattarella, mentre molti senatori testimoniano del tentativo di spostare il voto sull’autorizzazione a procedere per Calderoli, per costringerlo a più miti consigli. La manovra è fallita epperò il senatore leghista non è uscito benissimo: «Far la mossa di ritirare 500mila emendamenti significa ammettere la strumentalità di un’operazione che ha costretto il Senato a lavorare in agosto a spese dei contribuenti», avvertono nel Pd. Riuscito l’intervento su Bilardi per agganciare Ncd alle riforme: slitta il voto dell’Aula sull’arresto. Difficile dire se questo è il collante per tenere unito il partito che, secondo certi conti, potrebbe perdere 3-5 pedine.
RENZI gioca secondo le sue regole: convoca la direzione Pd per mettere alle strette i dissidenti. È l’unico gioco che può fare.
«Se cedo alle pressioni della minoranza rischio di finire come Prodi nelle mani del Turigliatto di turno: chiunque può chiedermi qualcosa». Punta alla maggioranza assoluta. «Prenderemo più di 160 voti anche nelle votazioni più delicate», assicura Marcucci. A favore del premier gioca un gruppo consistente di apolidi: ex grillini, ex forzisti, ex leghisti. Le voci di trattative condotte con l’aiuto di Verdini e Lotti fanno tanto chiasso che il segreto, ormai, è solo quello di Pulcinella. Se l’incontro con Tosi a Palazzo Chigi ha segnato il passaggio delle tre senatrici che fanno riferimento al sindaco di Verona nella maggioranza per le riforme, il tam-tam racconta di parecchi colloqui a Palazzo Madama. Con gli ambasciatori renziani a chiarire: «Questa riforma costituzionale non è il prodromo di elezioni anticipate ma l’opposto: si va alle urne se caschiamo su un emendamento, sul voto finale e persino sul voto sul calendario».
Fonte: IL MESSAGGERO