RENZI, QUEL POLITICO MODERNO INSIDIATO DA CINISMO E INVIDIA – di Giuliano Ferrara, Il Foglio

Matteo Renzi è un politico moderno. Acerbo, esposto a mille accuse e possibili ritorsioni polemiche, in sospetto di furbizia in quanto fiorentino, e vorrei vedere, sta diventando sempre più simpatico a un pezzo di opinione italiana trasversale, incuriosita da un linguaggio nuovo e da un uomo nuovo per quanto sperimentato in focose e aperte battaglie come quella per la conquista della sua città. Aver preso Firenze a suon di voti, contro apparati e disistimatori professionali, contro gli elefanti del partito, e averlo fatto a trentatré anni, è onorificenza sufficiente, è un pieno di carburante per lunghe navigazioni o per una corsa veloce e decisiva, prematura per l’anagrafe ma non per la contingenza della sinistra italiana.

 

 

Perché Renzi sia simpatico, e mostri una tendenza all’affidabilità elettorale, perché sia insomma un naturale presidenziabile, è presto detto. Nessuno osservandolo pensa che questo leader debba accodarsi come una pecora a uno sciopero generale dei bonzi sindacali o a un programma corporativo e antipolitico della Emma Marcegaglia e dei padroncini capresi. Lo si vedrebbe più in sintonia con la riforma decisa e realizzata da Sergio Marchionne nei rapporti sindacali, e con le proposte di liberazione del lavoro di Pietro Ichino, fatte proprie in un momento di sobrietà e di intelligenza dal governo Berlusconi, che d’altra parte è titolare di una disoccupazione inferiore a quella di molti partner euroentusiasti per via del lavoro di Tiziano Treu incorporato da Marco Biagi. I giovani che tirano le molotov in piazza sono diversi da lui, sono conformisti, credono di desiderare l’impossibile, cioè un idolo regressivo, a lui il possibile basta, se no non farebbe politica. Renzi guida una città tosta, sapiente, orgogliosa ed elegante, che ospita i bottegai peggiori del mondo e la spiritualità cattolica più impegnata e solerte su vari fronti, da quello progressista a quello conservatore (dal fantastico e profetico Giorgio La Pira con i suoi discendenti, fino a Divo Barsotti, meno conosciuto ma eccezionale fondatore di gruppi di pensiero e monachesimo cattolico di primissimo ordine).

Ha eliminato un ciuffo imbarazzante. Dichiara e onora la propria ambizione. Motiva e trascina i suoi seguaci. Solleva tremende invidie che lo ingrassano, senza esagerare che già è tondeggiante. Sfruculia Berlusconi e la Lega in tv, ma non si tira indietro se si debba andare a discutere ad Arcore. E’ naturalmente curioso dell’altro, senza perdere in gioia identitaria. In un paese come questo, si dice, non ha futuro un candidato alla guida del centro sinistra che parla con impertinenza della sinistra, che fa il bullo con i suoi capi cosiddetti storici, che vuole rottamare i dinosauri.

Ma in un sistema americano, in cui a decidere siano gli elettori, il corpo degli elettori ravvicinati riunito nei caucus e nelle primarie, e non i comitati di partito o di corrente, tutte queste sarebbero qualità di immediato riscontro, analizzate con perspicacia, o almeno con intuito, da una pletora di critici e di osservatori.

 

Solo il cinismo un po’ bestiale, primitivo e gretto, di una certa nostra scuola politicista può trascurare il fattore di sfondamento che Renzi rappresenta anche nell’elettorato moderato. Lui lo sa, e per tre parole ovvie che dice contro Berlusconi, ne dice mille per cambiare il modo di essere dell’opposizione, e lo fa con schiettezza, non senza prudenza, con esitazioni comprensibili, ma in modo alla fine piuttosto volitivo. Non gli farei mai l’oltraggio di dichiararlo il mio candidato, perché il mio candidato è Berlusconi e dopo di lui un centinaio di berlusconiani puri, fino alla consunzione per esaurimento della lista. Ma osservo con franchezza, e senza particolare malizia, che lo scandalo di un’opposizione che non c’è, e di un programma di alternativa che non esiste, potrebbe forse colmarlo un tipo così. Uno che si preoccupa non già di contentare onanisticamente i più radicalizzati e faziosi dei suoi, uno che preferisce parlare agli italiani e vedere se ci sia la possibilità, chissà, un domani, di mettere insieme una maggioranza per domare lo spirito ideologico vuoto che questo paese ha ereditato dagli anni Settanta, insieme con un notevole debito pubblico.