Riccione. Addio a Piero Serafini, maestro di tennis e di vita

tennis-generica-e1405344731565«Sono nato nel 1928 a Riccione. Figlio del manutentore dei campi dell’azienda di soggiorno. Già a 9 anni facevo il raccattapalle per il Duce». Campi in terra rossa, righe e corridoi, e la rete che divideva lui dal resto del mondo. Quel rettagolo polveroso è stato per quasi ottant’anni il regno invalicabile di Piero Serafini, il Maestro.
Il nome era un dettaglio. Il Maestro non insegnava tennis, governava tra i paletti e le rete di fondo. La voce roca, i pantaloni lunghi e candidi, lo sguardo severo, tutto in lui era parte del racconto, una divinità del tennis e dall’altra parte migliaia di ragazzetti con la racchetta in mano pronti a seguire i suoi ordini.
AVEVA iniziato da piccolo, e se n’è andato sfidando le leggi del tempo. Piero Serafini è morto l’altra notte. Aveva 87 anni, quasi tutti passati in campo. Tre anni fa palleggiava ancora con il figlio Fabrizio. Un atto di amore più che di resistenza. Nell’albo dei maestri di tennis era il numero 272. Per dare un’idea, quando Adriano Panatta espugnava il centrale del Roland Garros lui impostava dritti e rovesci già da vent’anni. D’estate a Riccione, d’inverno a Parma e a Piacenza. Nel 1962 tiene a battesimo la scuola Fit, dove regna per tren’tanni prima di lasciare le redini al figlio. Sforna maestri, istruttori, campioni, ma soprattutto un esercito di bambini che grazie a lui si innamoreranno del tennis. «Era il giugno del ‘45, era appena finita la guerra, avevo 17 anni e studiavo da geometra, quando un marchese di Mantova mi propose di sostituire il suo compagno di gioco. Alla fine volle pagarmi .Quell’ora cambiò la mia vita». Raccontava così la sua prima involontaria lezione. Da quel giorno non c’è stato più nessuno oltre al Maestro. Chi è venuto dopo, è passato per forza da lì, dalle ampie aperture classiche, dal rovescio rigorosamente a una mano, dalla volée precisa ma elegante.
«E’ STATO un grande padre non solo in campo», dice Fabrizio Serafini che guida la scuola intitolata a Piero, un tributo in vita che dimostra che non c’è bisogno di morire per vedere riconosciuti i propri talenti. «Si è sempre tenuta stretta la famiglia», aggiunge. Che non è poco, in una vita spesa a insegnare agli altri a stringere bene le cose che si amano, a partire proprio dalla racchetta, che nel tennis non è uno strumento ma il prolungamento di sogni, fatiche e frustazioni. I ricordi di un figlio che coincidono con le immagini di decine di estati. Il podio a tre posti, le medaglie, la vociona del Maestro che scandisce i risultati. «30 a 0»… «vantaggio interno». Gioco. Che era anche scuola di vita. Non si sgarrava con il Maestro. E ne andava orgoglioso: «Ho insegnato a tanti bambini non solo il servizio ma anche il rispetto». Per le regole del tennis e dell’educazione. I funerali del maestro Piero Serafini si svolgeranno oggi alle 15 nella chiesa Gesù Redentore di Riccione.

Resto del Carlino