”Restare chiusi quattro mesi significa alzare bandiera bianca”. Fabrizio De Meis rompe il silenzio nel corso di una conferenza stampa che ha convocato ieri pomeriggio a Roma, e fa capire che se la ‘punizione’ non verrà ridimensionata, il destino del Cocco è segnato. Così, aggiunge, come quello delle 200 persone che ci lavorano.
DE MEIS non va allo ‘scontro’ con il questore di Rimini, preferisce aggirare l’ostacolo e fare l’elenco dei perchè non servirà la serrata della discoteca che, ricorda, è il 16° locale del mondo con mezzo milioni di visitatori all’anno. «Chiudere oggi il Cocoricò non serve a nulla, non è questa la soluzione. E’ vero che è morto un ragazzo di 16 anni, ma ne sono morti anche in altre parti d’Italia. E continueranno a morire finchè non si farà qualcosa. E questo qualcosa non è certo abbassare la serranda del locale. Anzi, questo significa arrendersi a un problema e per noi portare i libri in tribunale». De Meis ci tiene a sottolineare che il Cocco «da tempio della trasgressione è diventato il simbolo della lotta alla droga», culminata, dice, con il ‘gemellaggio’ con San Patrignano. «La nostra posisione contro la droga è netta, ma così continueremo a non avere mezzi utili per battere la logica dello sballo, logica che il Cocoricò ha sempre tentato di combattere». De Meis ricorda che «poco tempo fa abbiamo proposto di approvare una normativa che prevedesse l’applicazione di un Daspo, così come per il calcio, nei confronti di chi avesse spacciato o usato droghe e l’utilizzo di un tampone all’ingresso dei locali, per verificare che gli avventori non avessero già assunto droghe». Ma secondo lui, nè cambiare gli orari delle discoteche, nè la legge che proibisce la somministrazione di alcol dopo una una certa ora, sono comunque un deterrente. E, sostiene, «non è nemmeno vero che si sballano per il tipo di musica che ascoltano. Sono giovani, e possono ballare tre giorni di seguito senza drogarsi». (…) Il Resto del Carlino
