San Marino. Riforma IGR, aumenti “ridicoli” per frontalieri terrorizzati e sciopero generale… Speriamo che domani diluvi! … di Enrico Lazzari

Ah, San Marino, mia cara Repubblica da operetta: domani, martedì 23 settembre, è la grande giornata di sciopero generale contro la Riforma IGR. Un giorno di protesta proclamato dalla CSU con tanto di corteo mattutino fino al Pianello, Piazza della Libertà, il cuore della millenaria democrazia sammarinese…

Enrico Lazzari

O, forse – mi vien da sospettare, peccato mortale! – è uno sciopero contro il governo in sé, o per tenere a galla i sindacati che annaspano come relitti in un mare che si sta prosciugando? “A pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca!”, borbottava quel vecchio volpone di Giulio Andreotti e, io, da peccatore incallito con un debole per le verità scomode, non resisto alla tentazione di ficcare il naso dove potrebbe esserci puzza di bruciato.

Perché mi son ficcato in testa questa perfida idea? Semplice: non sono sammarinese, ma italiano doc, e tra i miei conoscenti pullulano lavoratori frontalieri. Gente non solo preoccupata, ma terrorizzata, “incazzata” nera come un fegato di maiale in padella. Non per l’aumento “reale” della pressione fiscale sul loro stipendio – che, spoiler alert, è più una puntura di vespa che un’esplosione nucleare – ma per le favolette propinate – non so di preciso – in riunioni sindacali o, peggio, nelle chiacchierate dell’inutile Assofrontalieri. Uno per tutti, il lamento che mi ronza nelle orecchie come una zanzara ubriaca: “Hanno commissionato uno studio a un commercialista riminese, e quello giura che pagherò almeno 400 euro al mese in più di tasse! Impossibile da reggere, torno a fare il cameriere a Riccione con vista sul mare!”.

Ah, questi profeti del disastro, con i loro calcoli da bar dello sport: fanno più danni di un uragano tropicale, gonfiando bolle di sapone che scoppiano al primo soffio di aritmetica seria, alimentando un allarmismo che serve più a riempire le piazze che a risolvere i problemi, talvolta addirittura concepiti ad hoc.

A proposito di inutilità cosmica, apriamo una parentesi sull’Assofrontalieri, quel doppione a mio parere inutile che esiste solo per giustificare qualche tessera in più e un po’ di folklore transfrontaliero. Un bis superfluo alla luce dei “successi” della vecchia gestione – un elenco vuoto come un frigorifero di chi parte il giorno dopo per le ferie – e doppiamente ridicola vista l’esistenza del CSIR, il Comitato Sindacale Interregionale che già coordina sindacati italiani e sammarinesi per tutelare fisco, previdenza e mobilità dei frontalieri con efficacia, riconoscimento nel Diritto Ue e senza sovrapposizioni. È come avere due ombrelloni per la stessa spiaggia affollata: uno ti ripara dal sole, l’altro ti fa inciampare mentre ti alzi. Chiudiamola qui, prima che mi venga l’orticaria da burocrazia sovrabbondante. E torniamo al sodo, perché a poche ore dal botto è doveroso fare chiarezza sulla Riforma IGR e sui suoi effetti reali sui redditi, specie per i frontalieri, i più terrorizzati da questa psicosi collettiva.

Punto fermo, incontestabile come un dogma fiscale: per chi ha un reddito medio, le tasse crescono; per chi ha un basso reddito (e risiede qui), calano sensibilmente, redistribuendo un po’ di equità in un sistema che ne ha fame. Sta di fatto che l’intera impalcatura, quando a regime, secondo le previsioni, dovrà dare un gettito di 20 milioni di euro extra, ogni anno. E da qualche parte bisogna prenderli visto il miliardo e passa di debito pubblico accumulato per mettere le pezze ai disastri economico-bancari del decennio scorso… Certo, una maggiore equità, il Segretario di Stato alle Finanze Marco Gatti, l’avrebbe potuta ottenere. Ma ha liquidato con una risata la mia proposta di una – secondo me – più equa ripartizione degli aumenti, facendo pagare di più a chi fece l’errore di votare le forze politiche che poi hanno insediato il Governo AdessoSm, sotto il quale una “associazione criminosa”, nota come “La Cricca”, ha scorrazzato indisturbata bruciando quasi una miliardata di euro pubblici… E di meno a chi votò le forze politiche che la stessa “Cricca” l’hanno combattuta, sia nelle aule di giustizia che nel Consiglio Grande e Generale…

Ma torniamo seri, non sto a rispiegare la rimodulazione con cifre da mal di testa – ieri la Segreteria di Stato alle Finanze di Marco Gatti l’ha sviscerata con chiarezza cristallina (leggi qui) – ma mi concentro sulle innovazioni, con un occhio di falco puntato sui frontalieri, i presunti “agnelli” di questa saga, verrebbe da dire, per far girare bene la metafora, pasquale.

L’innovazione principale della “Riforma-Gatti”, quella che fa sudare freddo ai più? Le detrazioni Smac, che ora diventano un salvagente obbligatorio e non più un optional da snob: massimo 900 euro annui di vantaggio fiscale, ma l’intera cifra benefit solo se strisci la carta-Smac per almeno 6.000 euro in territorio sammarinese.

Prima, per sammarinesi e frontalieri, era un menu “à la carte”: aderivi e via con lo sgravio a suon di strisciate, o optavi per una “no-tax area” progressiva che si assottigliava con l’aumentare del reddito, come un salvadanaio che si rimpicciolisce man mano che cresci. La riforma? Taglia con il machete da giardiniere zelante: addio opzione, addio no-tax area. Ora tutti costretti a “smaccare” per quel benefit – o sgravio, chiamatelo come vi pare – altrimenti arrivederci al portafoglio, con un bacio sulla fronte. È come dire: “O spendi qui da noi, o ti tassiamo come un turista sprovveduto che passa e sparisce”. Logico, no? Incoraggia il consumo locale, lega il fisco all’economia reale, ma certo non è una carezza per chi vive a cavallo del confine. E, a dire il vero, neppure per i sammarinesi, visto che una spesa di alimentari sul Titano costa parecchio di più che ad una vicina “Eurospin” italiana (ma questa è un’altra storia, dove erano i sindacati  e le loro Assoconsumatori quando i prezzi sul Titano levitavano nonostante la pressione fiscale minore rispetto a quella dei supermarket italiani?).

Ma in soldoni, quanto perde netto un frontaliero che non “smacca” con la nuova IGR a regime? Facciamoci due conti seri, usando le tabelle ufficiali dei tecnici che l’hanno sfornata, a mio parere di “non commercialista” le più affidabili, di certo più verosimili di quelle “spacciate” da guru riminesi e capaci di terrorizzare più di un lavoratore frontaliero.

Prendiamo un classico, il lavoratore medio: reddito lordo annuo 26 mila euro (circa 1.700 euro mensili netti + TFR). Se smaccava il massimo ieri e lo farà domani? Aggravio di 40 euro al mese, punto e basta, certo meglio averli avuti in busta, ma meno di due cene fuori, o un pieno di benzina saltuario. Ma ecco il twist che fa impazzire i calcoli da asilo: quasi due terzi dei frontalieri optavano per la no-tax area, snobbando lo Smac come un invito noioso. Oggi? La no-tax area non esiste più. O smacchi, o paghi! Supponiamo, così, che il lavoratore italiano non smacchi i 6.000 euro pieni, ma un minimo realistico: zero è fantascienza pura, visto che tutti riforniscono qui (carburante conta fino a 850 euro annui) perchè costa molto meno che in Italia. Aggiungi un caffè da 1,30 euro ogni giorno lavorativo, un aperitivo da 5 euro due volte a settimana, e spese varie come il gommista, il meccanico e così via: facile arrivare a 200 euro al mese (2.400 annui, carburante incluso). Quei miseri 2.400 euro spesi senza accorgersene sul Titano, valgono un benefit del 40% del massimo, ovvero 360 euro di credito d’imposta. Non 900 che riducono a 40 euro l’aggravio fiscale mensile, ma un bel cuscinetto, no?

Certo, un paio di centinaia di euro annui in meno rispetto alla vecchia no-tax area per quel reddito, ma diciamo, pessimisticamente!, un costo extra di 20 euro mensili per chi passa da zero Smac a questa routine minima. Totale aggravio? Circa 60 euro in busta paga, su un netto di 1.700, un ammanco ma non un dramma, che si assorbe con un caffè in meno o un weekend low-cost.

E sul fronte italiano? Nessuna stangata extra: anzi, dal 2026, il governo Meloni ha promesso tagli alle aliquote per redditi medi nella finanziaria, per ridare un po’ di fiato al potere d’acquisto dei comuni mortali. Se si concretizza – e non vedo perché dubitarne, con le urne che incombono – potrebbe bilanciare il piatto alla perfezione, trasformando il “dramma” in una mera increspatura, un’onda che bagna i piedi ma non ti annega.

Dunque, sì, c’è un aggravio per frontalieri con redditi medi o alti, ma non il massacro da fine del mondo che i megafoni hanno promulgato con la foga di venditori di elisir miracolosi.

Qui sta il nodo gordiano: l’allarmismo non è solo disinformazione, è un’arma a doppio taglio che spaventa i lavoratori, gonfia le piazze per un giorno di gloria, fa vendere qualche tessera sindacale, ma alla lunga erode la fiducia nel dialogo. I sindacati, con il loro grido di battaglia contro una riforma che “penalizza e discrimina”, rischiano di passare per le massaie che gridano al lupo vedendo uno scuro montone, mentre il vero nemico – il sistema fiscale asimmetrico tra Titano e Penisola – resta lì a ululare.

E se invece di marciare a comando, frontalieri e sammarinesi si sedessero a un tavolo con calcoli alla mano? Magari emergerebbe che la Riforma non è il mostro sotto il letto, ma un compromesso imperfetto – ma indispensabile, o 20 milioni le casse pubbliche li possono risparmiare con i tali alla sanità e alla scuola? – per un’economia che deve correre, non zoppicare. Che incentiva il consumo locale senza strozzare i pendolari, e che – con un po’ di generosità annunciata e italiana – potrebbe persino rivelarsi un affare.

Non vi nascondo, però, la mia speranza più intima per domani: che il cielo si sfoghi, un monsone tropicale da manuale, con raffiche di vento che strappano gli striscioni e pozzanghere che trasformano Piazza della Libertà in una piscina olimpionica! Inzuppati fino al midollo, i sindacalisti potrebbero ripensarci, rifugiarsi in un bar a sorseggiare un caffè caldo – magari pagandolo con Smac, per non perdere il benefit – e chiacchierare di numeri veri, non di oracoli riminesi. Tra un tuono e l’altro, qualcuno potrebbe persino ammettere: “Ehi, 60 euro non sono la fine del mondo”. Altrimenti, è solo un altro spettacolo da operetta: urla rabbiose, cartelli zuppi, e zero passi avanti. Bravi, compagni, marciate pure, ma la matematica non mente. Che diluvi, dunque, spazzando via almeno un po’ di quel fumo che qualcuno sembra avere gettato negli occhi di chi lavora.

Enrico Lazzari

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