San Marino, terra di torri che puntano al cielo e di sindacati che sembrano puntare al caos, è di nuovo teatro di un melodramma fiscale che farebbe impallidire un teleromanzo sudamericano. La riforma dell’Imposta Generale sui Redditi (IGR) è sul tavolo, e i sindacati sammarinesi, con l’entusiasmo di chi ha appena scoperto un complotto globale, hanno sfoderato megafoni e cartelli per gridare al disastro. “No alla riforma!”, sbraitano, come se il fisco fosse un brigante pronto a svaligiare i portafogli di lavoratori e pensionati del Titano. Ma, tra un urlo e l’altro, c’è un mare di tabelle, numeri e una realtà che i nostri paladini sembrano aver dimenticato di sfogliare, forse perché troppo impegnati a lucidare le loro corazze da crociati.
Il cuore della questione è un cambio di sistema che, a quanto pare, i sindacati sembrano aver dimenticato, arrivando a dipingere le modifiche come l’Apocalisse fiscale. Via le deduzioni sugli oneri SMAC fino a 9.000 euro annui, benvenuta la detrazione d’imposta al 22% sulle spese SMAC, con un tetto di 6.000 euro l’anno, ossia 500 euro al mese. Tradotto per chi non mastica il gergo da commercialista: prima potevi scalare le spese dal reddito imponibile, ora hai uno sconto diretto sull’imposta dovuta.
Un passaggio che, però, dai profeti del megafono, sembra venire ignorato, così da trasformare la riforma in una stangata per lavoratori e pensionati. Peccato che, abaco alla mano, per chi guadagna 23.000 euro l’anno e spende 6.000 euro in territorio, il saldo resti praticamente identico al vecchio sistema che prevedeva 9.000 euro di deduzioni. Anzi, per chi guadagna meno, la riforma porta un alleggerimento fiscale che sa di ossigeno puro. E allora, dove sta l’ingiustizia? Nei numeri, cari sindacati, o nei vostri comunicati scritti con l’inchiostro dell’indignazione?
Perché, diciamolo, la riforma non è un bancomat che preleva a caso dai conti dei sammarinesi. È un gioco di prestigio ben calcolato: toglie un po’ a chi sta in cima alla scala dei redditi per dare una mano a chi arranca in fondo. Chi guadagna più di 23.000 euro annui paga qualcosa in più, certo, ma quel “qualcosa” non finisce in un pozzo senza fondo per finanziare chissà quale spreco. No, quei soldi vengono quasi interamente riversati sui redditi più bassi, azzerando o riducendo le tasse per pensionati e lavoratori residenti che tirano la cinghia. Una redistribuzione interna, un pizzico di equità fiscale mascherata da riforma. E se questo non è un concetto da standing ovation in un Paese che si vanta della sua solidarietà, allora qualcuno mi spieghi cos’è.
Eppure, i sindacati continuano a piangere miseria, come se la riforma fosse una ghigliottina pronta a decapitare il potere d’acquisto dei sammarinesi (cosa pericolosissima da fare in questo contesto e in questo momento, come scritto in precedenza). Ma il vero colpo di scena è un altro: l’aumento di gettito fiscale, che pure c’è, non viene dai lavoratori e pensionati residenti. Quei soldi arrivano dai frontalieri e dai redditi d’impresa, che effettivamente finanziano il saldo positivo per le casse dello Stato. Per i residenti, invece, il gioco è a somma zero: chi ha di più sostiene chi ha di meno, in un balletto di equità che dovrebbe far sorridere chi si professa difensore dei deboli. E allora, perché questo livore? Perché i sindacati, che dovrebbero avere a cuore i lavoratori del Titano, si agitano come se la riforma fosse un attentato alla loro stessa esistenza?
Qui si apre il sipario sui misteri sindacali, e il copione è degno di un giallo. Prima ipotesi, da scartare con un sorriso: visto che nei ranghi dei sindacati tutti guadagnano più di 23.000 euro l’anno, combattano perché la riforma pizzica le loro tasche ben imbottite? No, dai, troppo comico anche per una barzelletta sui Carabinieri… Non possiamo credere che sia una battaglia di “bottega”, che i paladini dei lavoratori stiano difendendo il loro conto in banca. Seconda ipotesi, più maliziosa ma con un retrogusto di plausibilità: e se i sindacati fossero diventati i cavalieri erranti dei frontalieri, più attenti a chi varca il confine che a chi vive e spende sul Titano? Un amore sbocciato contando tessere sindacali, forse, più che nelle piazze di protesta… Oppure, ipotesi da fantascienza, non gradiscono che chi guadagna di più finanzi un alleggerimento per chi guadagna di meno? Un paradosso per chi dovrebbe avere a cuore i più fragili, ma a San Marino, si sa, i paradossi sono più comuni delle piadine.
La verità, cari lettori, è che la riforma IGR non è un’opera d’arte. Ha angoli da smussare, frontalieri da ascoltare, equilibri da salvaguardare, competitività del sistema da tutelare, dettagli da rifinire. Ma le urla dei sindacati, con il loro eco che rimbalza tra le rocce del Titano, sembrano più utili a seminare panico che a costruire un dibattito. Gridare al massacro fiscale su una riforma che azzera le tasse per i redditi bassi e chiede un piccolo sforzo a chi può permetterselo è come lamentarsi del cameriere perché fuori non c’è più il sole.
Dopo il disastro dei conti pubblici del decennio scorso e il relativo debito pubblico a nove zeri, San Marino non può più permettersi di rimandare una riforma che, pur con i suoi limiti, prova a rimettere in sesto i forzieri pubblici con un briciolo di equità.
I sindacati, se davvero vogliono difendere i lavoratori e i pensionati sammarinesi, dovrebbero smettere di agitare spettri e sedersi al tavolo con proposte che non sembrino uscite da un libro di fiabe. Perché, sulle vette del Titano, i numeri sono come le pietre: solidi, pesanti, difficili da ignorare. E le favole di un fisco che non chiede niente a nessuno, mentre lo Stato incassa milioni, restano solo un bel racconto per la buonanotte. Sveglia, il Paese ha bisogno di concretezza, non di megafoni.
Enrico Lazzari