
INIBITO a vita dalla giustizia sportiva. La sentenza è arrivata pochi giorni fa dal Tribunale nazionale antidoping del Coni, nei confronti di un riminese, accusato di avere dopato i due figli minorenni, o comunque di averli portati dal noto dottor Vittorio Bianchi per risolvere alcune patologie, insorte a causa della loro attività di tennisti.
L’UOMO è uno di quelli finiti nella maxi inchiesta che protagonista appunto il dottor Bianchi. Indagine che si era conclusa con il rinvio a giudizio di quasi 50 persone, il cui processo si aprirà l’11 febbraio del 2016. Grazie alle intercettazioni telefoniche e al sequetro della documentazione, gli investigatori erano riusciti a ricostruire la sua clientela e tra questi c’era anche il riminese che era andato da lui insieme ai due figli. Era finito indagato per avere procacciato sostanze dopanti, così come i due ragazzini di cui si era occupato invece il Tribunale dei minori di Bologna, accusaio di avere assunto medicinali insieriti nella tabella doping. I figli sono già stati assolti, avendo dimostrato che all’epoca non svolgevano più attività agonistica. Lui, difeso dall’avvocato Marco Ditroia, aveva spiegato invece di come si fosse rivolto al dottor Bianchi per le patologie di cui soffrivano i due ragazzi, dopo avere consultato altri medici. Saputo che Bianchi si occupava specificamente di quel tipo di problemi, aveva portato i figli e l’altro gli aveva prescritto una cura che, ha sempre sostenuto, alla fine aveva deciso di non somministrargli nemmeno. I dolori stavano scomparendo e comunque i due ragazzini non avrebbero ripreso l’agonismo.
UNA DIFESA però che davanti al Tribunale sportivo non conta nulla. Secondo la giustizia del Coni, è sufficiente l’intenzione per essere ‘colpevoli’, e comunque prima di rivolgersi a un medico è necessario informarsi preventivamente che questo non abbia guai con la giustizia in merito al doping. Di qui la sentenza che lo inibisce a vita.
Resto del Carlino