L’analisi di Union Ricambi svela il divario tra intenzioni green e realta’ di mercato. Il presidente Bracchi: “Sotto i 200 euro vince il nuovo low cost asiatico, serve rendere la sostenibilita’ conveniente”. L’economia circolare corre veloce nei convegni e nelle direttive europee, ma frena bruscamente quando arriva al bancone dell’officina. È la fotografia, lucida e disincantata, scattata da un osservatorio privilegiato del settore automotive romagnolo. In un comunicato diffuso oggi da Union Ricambi, storica realta’ con sedi a Rimini e Cesena, emerge un paradosso che rischia di bloccare la transizione ecologica del comparto: tutti vogliono la sostenibilita’ a parole, ma quasi nessuno e’ disposto a pagarla se esiste un’alternativa nuova e a basso costo.
A lanciare l’allarme e’ Marco Bracchi, presidente di Union Ricambi, che mette a nudo le contraddizioni di un mercato in teoria fiorente – a livello globale i componenti rigenerati muovono 70 miliardi di dollari con prospettive di raddoppio entro il 2034 – ma che nella pratica quotidiana si scontra con la dura legge del portafoglio.
“Tutti dicono di volere i pezzi rigenerati. A parole, nessuno li metterebbe in discussione”, spiega Bracchi nella nota. “Ma quando si arriva al preventivo, il prezzo diventa l’unico vero criterio di scelta. E li’ crolla la buona volonta’”.
Il problema, secondo l’analisi dell’azienda riminese, non e’ culturale ma strettamente economico e geopolitico. Se un tempo si rigenerava quasi tutto, dagli alternatori alle frizioni, oggi esiste una soglia di convenienza che ha tagliato fuori una grossa fetta di mercato: i 200 euro. Sotto questa cifra, il recupero del componente usato non regge la competizione con i prodotti nuovi provenienti dai mercati asiatici, Cina in testa, che inondano le officine con prezzi stracciati.
“In quelle condizioni, la domanda per il ricondizionato e’ praticamente sparita. E con la domanda, sono spariti anche i produttori”, sottolinea Bracchi, ricordando come componenti quali pinze dei freni o piccole parti elettriche siano ormai terra di conquista dell’importazione a basso costo.
Il rigenerato resiste e conviene solo per le componenti piu’ costose e complesse, dove test e garanzie fanno ancora la differenza. Per tutto il resto, l’equilibrio si e’ rotto, lasciando l’economia circolare confinata alle buone intenzioni.
La lezione che arriva dal territorio e’ chiara e chiama in causa la politica industriale: il mercato, da solo, non basta a sostenere la transizione. “Non bastano gli slogan – conclude il presidente di Union Ricambi – servono misure che rendano la scelta sostenibile anche quella piu’ conveniente. Solo cosi’ potremo davvero cambiare marcia”. Senza incentivi concreti, il rischio e’ che la riparazione “green” resti un lusso o un’utopia, schiacciata dalla pragmatica realta’ dei prezzi.














