CACCIATA dall’Australia, letteralmente. Per colpa di un truffatore, che le aveva promesso di portare avanti per lei tutte le carte per farle ottenere il visto. E di una burocrazia, quella australiana, che a confronto quella italiana fa quasi tenerezza… Non è bastato nemmeno l’intervento della Farnesina a Camilla Pivato (figlia dell’ex rettore dell’università di Urbino, Stefano), per fare ritorno in Australia, dove aveva deciso di trasferirsi definitivamente dopo averci vissuto quasi due anni. «Ora sto seguendo un master per poter insegnare italiano all’estero. In Italia non ci resto, mi sento spaesata, senza opportunità. Mi piacerebbe andare in Sudafrica», racconta lei, 31 anni, laurea al Dams, e un’esperienza di costumista per teatri e cinema che l’ha portata a vivere per tre anni a Roma.
Quando è partita per l’Australia, nel 2013, l’aveva fatto con l’idea di cambiare vita?
«In realtà no. Prima lavoravo come collaboratrice in una sartoria, avevo alcuni mesi liberi e ho scelto di passare alcuni mesi in Australia. Dopo il primo anno a Melbourne, stavo talmente bene che ho deciso di restare e di trovarmi un lavoro che mi facesse ottenere il visto permanente».
E l’ha trovato facilmente?
«Come molti altri ragazzi ho cercato impiego in una fattoria, e mi ha assunto la più importante impacchettatrice di mele e pere dello stato di Victoria. Lavoravo bene, il mio datore di lavoro mi ha promosso assegnandomi un ruolo importante, e si è offerto di farmi da sponsor (si chiama così chi patrocina la procedura, ndr) per farmi ottenere il visto permanente».
E’ a quel punto che sono iniziati i guai…
«Sì, perché l’avvocato a cui mi sono rivolta per fare le pratiche con l’ufficio immigrazione mi ha raggirato. Gli avevo dato 8mila euro per le spese, sembrava una persona a posto, invece a pochi giorni dalla scadenza del visto (a marzo di quest’anno), è sparito. Nel frattempo ho contattato l’ufficio immigrazione e ho scoperto che non avevano ricevuto nulla. E così a giugno ho dovuto lasciare l’Australia, in fretta e furia: là ci sono ancora la mia macchina, i vestiti, i mobili. Non posso tornare per i prossimi tre anni».
Ha provato a fare ricorso, a opporsi al diniego del visto?
«Certamente. Mi sono affidata ad altri avvocati, ma a luglio ho ricevuto il primo no. Niente visto. Il 4 di settembre c’è stato il processo per discutere il mio caso, il tribunale mi ha dato ragione e ha condannato l’avvocato truffatore al risarcimento. Peccato che nel frattempo lui sia sparito e abbia chiuso la sua società. Mi sono rivolta anche alla Farnesina, niente da fare. Nel frattempo ancora una volta mi hanno negato il visto».
Lei aveva consegnato 8mila euro al legale che l’ha truffata, per ottenere il visto. Ha perso anche tutti i soldi?
«Dal primo all’ultimo. Il truffatore non si trova più, so che ha fatto altre vittime. Il mio legale qualche giorno fa mi ha detto che per fare causa dovrei andare in Australia, ma io non posso più mettere piede là per tre anni».
