Anche la Direzione distrettuale antimafia di Bologna si aggiunge ai ‘tavolini’ del ‘Caffè delle Rose’, sequestrato mercoledì scorso dalla Guardia di finanza. Sul fascicolo aperto dalla Dda però c’è il più stretto riserbo, nessuno vuole dire una parola sull’oggetto dell’indagine, ma gli atti riminesi relativi all’inchiesta che ha portato al blitz delle Fiamme Gialle, avrebbero già preso la via della città felsinea. Intanto, l’avvocato difensore di Pasquale Granatiero, Alessandro Petrillo, ha presentato ieri il ricorso al Tribunale del Riesame, chiedendo la revoca dei sigilli.
LA risposta dei giudici arriverà non prima di qualche giorno, e farà la differenza per l’amministratore giudiziario, Giancarlo Ferruccini, a cui è stato affidato il locale di Marina centro. Ferruccini sembrerebbe intenzionato a riaprire i battenti dello storico caffè al più presto. Il sequestro è avvenuto infatti da soli due giorni e già diversi imprenditori locali si sarebbero fatti avanti con l’amministratore, molto interessati a prendere subito in gestione il locale dove lavorano quattro persone. Venti, in tutto, i dipendenti, fra ‘Caffè delle Rose’, il bar bolognese ‘Piglia la Puglia’, di via Riva Reno, diventato famoso per le sue parmigiane bianche e il pane al pomodoro, e lo stabilimento balneare ‘Le Caiquè di Pineto’, a Teramo. Sequestri, scattati ai fini della confisca, di un valore complessivo di 2 milioni e 300mila euro. L’epilogo di un’operazione messa a segno dal Nucleo di polizia tributaria delle Fiamme Gialle riminesi, battezzata ‘Coffee break’. Quattro le persone denunciate in concorso dagli investigatori, coordinati dal sostituto procuratore Paolo Gengarelli, per il reato di intestazione fittizia di beni.
UN’INDAGINE che era partita nel 2014 dal semplice controllo su uno scontrino fiscale del ‘Caffè delle Rose’, quella che poi si è trasformata in un’autentica valanga. Era stato incrociando i dati fra la partita Iva e le intestazioni delle licenze, che gli investigatori avevano scoperto che tutti i beni intestati a terze persone (in alcuni casi si trattava di dipendenti), erano in realtà riconducibili a un unico personaggio, Pasquale Granatiero. Un imprenditore dalle radici pugliesi che già un anno fa era stato condannato dal Tribunale di Pescara a due anni e mezzo di carcere per reati fiscali, mentre era stato assolto con formula piena da quello di riciclaggio. E forse proprio forse per la paura che scattassero i sequestri (quando aveva preso il ‘Caffè’ era solo indagato) che aveva deciso di intestare i due locali e lo stabilimento balneare ad altre persone. (…) Il Resto del Carlino
