NELL’UFFICIO del nuovo direttore generale della Carim, Giampaolo Scardone, c’è un buon aroma di caffè. «Da napoletano è un piacere che mi concedo fin troppo volentieri – sorride lui – anche se qui sanno che non devono servirmene più di quattro al giorno».
Dimenticatevi il suo predecessore, il milanesissimo Alberto Mocchi. Altro look, altro phisique du rol, altro modo di porsi. Eppure fu proprio Mocchi a volere come vice Scardone. «E gli sono grato di avermi portato portato in Carim a dare un contributo alla banca».
Cosa cambierà adesso che il timone lo ha preso in mano lei?
«Ogni direzione ha una sua personalità e non mi piace dare giudizi sul passato. Vorrei che il tratto distintivo del mio lavoro fosse quello di valorizzare la squadra al di là dei personalismi: qui ci sono professionalità molto importanti. Ma non è tutto».
Continui pure…
«La linea di indipendenza della banca non può mai essere oltrepassata, né da una parte né dall’altra».
Si spieghi meglio.
«C’è chi amministra e chi, mi riferisco ai soci, controlla. I due ruoli non devono interferire l’un con l’altro».
A proposito di banca: non se la passa troppo bene.
«Abbiamo commesso un errore, credendo che il commissariamento ci avesse restituito una Carim completamente risanata e pronta ad affrontare il mercato. Invece un po’ per la crisi economica e un po’ per le conseguenze delle gestioni precedenti ci siamo trovati con problemi che nessuno pensava di avere, almeno in questa dimensione».
Quali?
«Abbiamo dovuto mettere a bilancio crediti inesigibili e riorganizzare la rete commerciale. E nel 2015 sopporteremo anche i costi di esodi incentivati, concordati con il sindacato, che in futuro ci consentiranno importantissimi risparmi. Voglio tuttavia sottolineare che Carim non ha licenziato nessuno, anzi abbiamo recentemente assunto oltre 30 giovani risorse».
Spari la cifra che avete sborsato.
«Per il 2013, il 2014 e i primo sei mesi del 2015 sono serviti 200 milioni di euro».
Tanti soldi. Dove li avete trovati?
«E’ stato tutto finanziato con il reddito prodotto dalla banca. Sul patrimonio graveremo per soli dieci milioni e nel 2016 torneremo a fare utili. Ma purtroppo sono mancate le risorse per nuovi investimenti e rilancio».
Per quelli servirà la ricapitalizzazione: di che importo e in quali tempi?
«E’ presto per parlarne. Si tratta di un tema che in questo momento riguarda tutti gli istituti di credito. Va anche strettamente legato alle analisi di mercato: inutile chiedere soldi se manca l’offerta»».
Resta il fatto che la capitalizzazione è indispensabile e potrebbe modificare il quadro societario.
«Come le ho già detto chi gestisce la banca non deve interferire nelle decisioni dei soci di maggioranza. Noi, tra l’altro, abbiamo 7.500 azionisti e dobbiamo rispondere a ciascuno di essi. Credo comunque che in Fondazione, anche su indicazioni dell’autorità di vigilanza, siano aperte riflessioni su logiche di partecipazione diverse da quelle del passato».
Servono delle fusioni con altri istituti?
«Ci sono già stati tentativi di aggregazione senza seguito. Diciamo che dobbiamo avere una mentalità più laica nel cogliere tutte le occasioni quando si presentano, anche perché l’intero sistema bancario sta vivendo una trasformazione epocale».
A proposito di soci: i vostri dal 2010 non riescono più a vendere le loro azioni.
«Uno dei principali obiettivi della mia direzione è quello di consentire ai soci di negoziare le loro azioni. Oggi non è più consentito farlo con il vecchio sistema, ma la legge non ne indica uno nuovo. Stiamo dialogando con la Consob per trovare in tempi brevi una soluzione».
Ci sono settori che finanzierete più di altri?
«Noi finanziamo le buone idee. C’è però un oggettivo problema di frazionamento del credito, che qui era stato troppo concentrato nell’immobiliare, nell’edilizia e nel turismo. Proprio i tre settori che hanno creato più problemi ai bilanci della banca. Ora vogliamo rinsaldare i rapporti con i professionisti, con le aziende meccaniche e quelle agricole e con chiunque produca innovazione. Senza dimenticare il profilo etico: con il convinto appoggio del Presidente Bonfatti e del Consiglio tutto riserviamo grande attenzione al terzo settore. E ci sono anche progetti di espansione».
Dove?
«Guardiamo a nord e al resto della Romagna dove non siamo presenti. Entro la fine dell’anno sarà pronto un piano industriale che presenteremo ai soci»
Ma è vero che dalle banche non arrivano soldi a famiglie e imprese?
«Nei primi dieci mesi dell’anno abbiamo concesso 180 milioni di crediti a 3.400 nuovi soggetti. E il nostro obiettivo è quello di crescere di 300 milioni all’anno. Il vero problema è che la domanda di credito langue: non siamo ancora arrivati ai livelli precrisi».
Siete finiti nella bufera anche per Aeradria
«Forse il nostro attivismo ha generato degli equivoci sui reali obiettivi: garantire un’infrastruttura strategica. Lo abbiamo fatto anche anteponendo la sopravvivenza dell’aeroporto agli interessi della banca»
Perché non avete avviato l’azione di responsabilità per chiedere un risarcimento ai vecchi amministratori che hanno danneggiato la banca?
«Ribadisco che non ho abbastanza tempo per dedicarmi a passate vicende, ma capisco l’attenzione riservata al tema. Ricordo tuttavia che la legge definisce i soggetti abilitati e le modalità di esercizio dell’azione. Mi risulta che le deliberazioni assembleari siano state rispettate e che siano stati compiuti gli atti necessari per non precludere alcuna iniziativa».
Quanto vale la Carim per Rimini?
«Vale tanto e ne sentiamo la responsabilità. Abbiamo 650 dipendenti, 7.500 soci, 100mila correntisti. Contribuiamo a produrre il 30 per cento della ricchezza del territorio».
Venderla sarebbe un peccato.
«Di sicuro non possiamo svenderla. Ma confidiamo di non disperdere il valore accumulato in tutta la nostra storia».
Lei sa che ha già raccontato più cose di quanto abbia fatto un banchiere come Enrico Cuccia in tutta le sua vita?
«Il che significa che ho sbagliato qualcosa».
Resto del Carlino