Sei ascensori, 27 piani per 100 metri di altezza e quasi 200 appartamenti di 7 tipologie diverse per piano. È il grattacielo di Rimini, l’edificio che domina lo skyline della città dal 1960. Realizzato dall’architetto istriano Raul Puhali su mandato dell’allora sindaco Veniero Accreman, il grattacielo è inaugurato nello stesso anno in cui è uscito “La dolce vita” di Federico Fellini e così come la pellicola anche l’edificio racconta l’irruzione della modernità, gli anni del boom economico, le speranze degli italiani. Il grattacielo diventa un oggetto mitico, scelto dalla nuova borghesia vacanziera, simbolo del desiderio di ricostruzione della città (Rimini è infatti la seconda città più bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo Montecassino). Negli anni il grattacielo vive vicende alterne e dal mito passa alla decadenza, associata a supposte frequentazioni malavitose, a politiche amministrative traballanti, a un amministratore che fugge in Sud America con i soldi degli ascensori nuovi, costringendo i proprietari degli appartamenti a pagarli due volte. Oggi il grattacielo è abitato da inquilini storici, negozianti cinesi, giovani coppie, artisti, ambulanti africani, “è una sorta di piazza Vittorio, ma in verticale. E come piazza Vittorio è vista con sospetto dal resto della città”, dice Marco Bertozzi, docente di cinema all’Università Iuav di Venezia e documentarista, che ci abita da 10 anni. “Mi sono trasferito nell’agosto del 2005, ci vivevano già alcuni amici e mi sembrava un posto interessante – continua – Il grattacielo è sintomatico della stratificazione sociale attuale. Qui, complici anche i lunghi tempi che si trascorrono in ascensore, entri a far parte di una comunità”. Una comunità varia che Bertozzi ha deciso di raccontare in un film, intitolato appunto “The community’, per il quale ha lanciato un crowdfunding suproduzionidalbasso.com.
“Quando sono entrato qui non sapevo bene cosa mi aspettava – racconta – All’inizio c’è una grande riservatezza, come in ogni altro condominio, io avevo già qualche amico ed è stato più semplice e poi sono stato a mia volta foriero di altre entrate”. Poi si è formato un gruppo di persone che si è fatto portatore di alcuni cambiamenti: da una raccolta indifferenziata “mostruosa” si è passati a una differenziata con bidoni negli interpiani, collocati da Hera, per consentire agli abitanti di separare i rifiuti da subito, le vecchie caldaie sono state sostituite in favore di un sistema di riscaldamento più sostenibile e c’è un nuovo amministratore perché per gestire un palazzo con 200 famiglie “ci vuolte gente sveglia”, dice Bertozzi. Nel 2010 poi c’è stata la festa per i 50 anni del grattacielo a cui ha partecipato tutta la community. Una comunità strana agli occhi della città. “Appartamenti molto grandi a prezzi contenuti, anche per questo il grattacielo di Rimini è un posto che attrae e accoglie persone così diverse: dallo studente all’ambulante, dall’artista alle giovani coppie. Ma ci sono ancora alcuni vecchi abitanti, quelli che sono entrati negli anni Sessanta e sono stati testimoni delle vicende vissute dal grattacielo”, racconta Bertozzi. Ci sono appartamenti immensi, con anche 10 stanze, uniti da accorpamenti, e altri piccolissimi. Alcuni poi mantengono tuttora gli arredi originali, facendo di questo posto una sorta di archivio del design italiano degli ultimi 60 anni.
Dalle prime immagini girate durante il trasloco alle riunioni condominiali, Bertozzi è arrivato a circa 100 ore di girato, “ho tanto di quel materiale da poter fare una serie”, scherza. Coinvolgere nelle riprese gli amici, vicini di casa o di piano, non è stato difficile. Un po’ meno rassicurare gli altri abitanti, entrare con la videocamera nelle loro case. “Il film è un lavoro di antropologia visuale e un tentativo di rappresentare le diversità culturali ma anche gli immaginari degli abitanti, dalla paura che l’edificio crolli o si incendi a quella del ‘vivere altro’, e le paure sociali, l’idea che il palazzo ospiti solo gente di malaffare, prostitute o stranieri pericolosi”. Nel film vengono utilizzate immagini girate in pellicola, altre riprese con camere e cassettine MiniDv o DvCam, parti in Betacam, poi in HD e le ultime GoPro: diversi formati che rappresentano un livello di racconto importante e a cui si aggiungeranno parti di animazione per rappresentare quella che Bertozzi definisce “la psicologia dell’abitante del grattacielo”. Ma che cos’è oggi il grattacielo di Rimini? “È un alveare di appartenenze diverse, una torre di cento metri che svetta su una città e una Nazione profondamente cambiate e rappresenta un tentativo di convivenza civile unico per il nostro Paese: una community, aperta e includente”. Per chi vuole contribuire al film c’è tempo ancora fino ad oggi, 26 agosto.
Fonte: COMUNE RIMINI