NESSUNO doveva vedere la macchia nera dei liquami sversati in mare, e soprattutto bisognava evitare che i giornali venissero a saperlo. E’ il succo di una delle conversazioni intercettate dagli inquirenti, tra un funzionario del Comune e uno dei titolari della ditta che l’8 giugno del 2012 avrebbe dovuto scaricare in mare liquami fognari e sabbia di scolo che poteva essere altamente infetta.Emergono altri particolari, nella vicenda che vede indagati tre dipendenti del Comune e il titolare di una ditta privata, accusati di tentato danneggiamento aggravato del mare. Uno stralcio della maxi inchiesta sulle fogne della sezione navale della Guardia di finanza, coordinata dal pm Davide Ercolani. Agli indagati è già stato notificato l’avviso di conclusioni indagini, ma i quattro sembrano decisi a dimostrare che in quell’operazione non c’è stato assolutamente niente di illegale, e anzi si trattava di un’operazione di routine. L’intervento al canale Ausa, quello che arriva al mare tra i bagni 27 e 28, si era reso necessario per la rottura di una pompa delle acque. Era stata quindi contattata l’azienda privata che si occupa di intervenire in questi casi. Ma quella notte, mentre l’escavatore meccanico stava effettuando il taglio del bagnasciuga che avrebbe permesso ai liquami presenti nell’Ausa di defluire in mare, erano arrivati sul posto i militari della Guardia di finanza che avevano dato l’alt. Si trattava, secondo gli inquirenti, di liquami putrescenti che si erano formati nell’ultimo tratto dello scolmatore di piena del sistema fognario ‘Ausa’, a causa appunto del mal funzionamento della pompa di riciclo. Per gli investigatori quell’operazione era stata progettata ‘sottobanco’ (in un’altra intercettazione l’imprenditore ipotizza una spiata) senza alcuna autorizzazione, senza verificare che i liquami formatisi fossero inquinanti (come poi sarebbe risultato dalle analisi) e soprattutto senza avvisare l’autorità sanitaria, in modo da far scattare il divieto di balneazione. La dimostrazione che si trattava di un’operazione illegittiva, starebbe per gli inquirenti in quelle intercettazioni in cui due degli indagati si mettono d’accordo per «non dare nell’occhio». Ma questi, difesi dagli avvocati Luca Greco, Moreno Maresi e Carlo Alberto Zaina, sono decisi a difendersi e a dimostrare che si è trattato invece di un intervento di routine. «In sede di interrogatorio — dicono i difensori — siamo sicuri di poter chiarire tutto e dimostrare che il reato è del tutto infondato». Il Resto del Carlino
