Rimini. Il questore Improta resta nella bufera. Espulsa moglie di un dissedente

improta1LA BUFERA sul questore Maurizio Improta, non si placa, ma gli interrogativi restano. Dall’inchiesta di Perugia che lo vede indagato per sequestro di persona per il caso Shalabayeva, (la moglie del dissidente kasako espulsa dall’Italia nel maggio del 2013, provvedimento che la Cassazione nel 2014 ritenne del tutto illegittimo) insieme ad altre sette persone, fra i quali il giudice di pace che firmò il decreto di espulsione, emergono ora nuovi particolari. Stando a quanto filtra dall’Umbria, Improta, Renato Cortese e altri due dei poliziotti indagati per la vicenda, avrebbero omesso di attestare che la donna si era identificata come moglie del dissidente-ricercato kazako Ablyazov pur conoscendone le sue generalità. Per questo sono accusati, oltre che di sequestro di persona, anche di omissione di atti d’ufficio e falso. Lui, il questore, continua a non voler fare nessun commento dopo la tempesta mediatica che l’ha coinvolto quando era capo dell’Ufficio immigrazione presso la Questura di Roma: «Preferisco tacere», si limita a dire, sempre con molta gentilezza.
MA, STANDO alle accuse formulate dal pm di Perugia, Cortese, all’epoca capo della Squadra mobile di Roma, insieme a Luca Armeni, che era dirigente della sezione criminalità organizzata e Francesco Stampacchia, il funzionario che il 29 maggio 2013 diresse le operazioni di perquisizione nella villa dove si trovava la Shalabayeva, non avrebbero comunicato all’Ufficio immigrazione della questura di Roma, dove la donna era stata accompagnata, che la signora non era Alma Ayan, come risultava in base al passaporto centrafricano di cui era in possesso, ma, appunto, Alma Shalabayeva, moglie del «dissidente-ricercato» Mukhtar Ablyazov. Tutto ciò nonostante le reali generalità della donna fossero a conoscenza della Squadra mobile, che ne possedeva la foto fin dal primo pomeriggio del 28 maggio, quando ricevette la «nota verbale» kazaka corredata da ben 21 allegati. I funzionari della Mobile avrebbero anche omesso di riferire che la Shalabayeva aveva una figlia minorenne con lei convivente, circostanza che ne avrebbe impedito il trattenimento, e che aveva ampie disponibilità economiche. Ma lo stesso Maurizio Improta, all’epoca a capo dell’ufficio stranieri della questura della Capitale, è accusato di abuso d’ufficio e falso poichè non avrebbe comunicato le reali generalità della donna, pur avendole apprese, sempre stando alle accuse che gli vengono mosse dagli inquirenti, nel pomeriggio di quel 29 maggio dal funzionario dell’ambasciata kazaka Nurlan Khassen.
COSÌ FACENDO avrebbe indotto in errore il questore e il prefetto di Roma che lo stesso 29 maggio emisero, rispettivamente, decreto di espulsione ed ordine di trattenimento nei confronti di «Alma Ayan», che in realtà, sempre stando alle accuse, era un nome di copertura usato per ragioni di sicurezza. La donna poii conviveva con una figlai minorenneed aveva possibilità economiche, condizioni queste che non avrebbero consentito l’espulsione poi avvenuta. Intanto a sostegno di Improta e degli altri poliziotti indagati arriva la nota del Siulp afirma del segretario generale, Felice Romano: «Pur esprimendo piena fiducia nell’operato della magistratura, vogliamo innanzitutto esprimere solidarietà, vicinanza e fiducia incondizionata ai colleghi destinatari dell’avviso di garanzia che, siamo certi, hanno agito, come sempre, solo ed esclusivamente nell’interesse generale del Paese e della sua sicurezza ma, soprattutto nel rispetto della legge».

Resto del Carlino