Le sigarette, la sua passione, lo hanno tradito e inchiodato sulla scena dell’agguato di San Giuliano del 5 aprile scorso quando da una Smart nera spararono tre colpi di pistola che ferirono gravemente Augusto Mulargia, 51enne riminese, con un passato turbolento. E’, senza ombra di dubbio, di Emanuel Karim Camaldo, 28 anni, originario di Napoli, ma da sempre residente a Rimini, il Dna che gli uomini del Ris di Parma hanno estrapolato da almeno due degli otto mozziconi di sigarette ritrovati quella sera del 5 aprile, in via Zavagli, subito dopo il ferimento del Mulargia. Proprio due testimoni avevano raccontato di aver visto due persone a bordo di una Smart scura che fumavano nervosamente. Un elemento fondamentale, quello del profilo genotipico riscontrato, che si va ad aggiungere alle numerose intercettazioni ambientali e telefoniche in mano agli uomini del Nucleo investigativo dei carabinieri di Rimini, che hanno portato al fermo, firmato dal pubblico ministero, Luca Bertuzzi, di Camaldo, fermo che dovrà essere convalidato nelle prossime ore dal gip. Da più di un mese e mezzo Emanuel Camaldo aveva lasciato Rimini: voleva andarsene, via dall’Italia. Così fa capire dalle intercettazioni nelle telefonate alla madre, destinazione Marocco, dove la donna ha buoni agganci. Ma prima Camaldo aveva qualcosa in sospeso da fare: convolare a nozze. Infatti lunedì era fissata la data del fatidico sì, in un Comune del Pesarese, a Montecchio Vallefoglia con la sua Martina. E, confusi tra gli invitati, c’erano anche loro, i carabinieri, arrivati direttamente da Rimini. «Vengo via con voi, ma prima lasciatemi sposare», avrebbe detto Camaldo, riconoscendo i militari, alcuni dei quali lo avevano ascoltato nelle settimane scorse. La sposina, ignara di tutto, sarebbe andata incontro ai militari, che erano in abiti civili, pronta ad abbracciarli, pensando fossero invitati. E ha avuto un malore quando ha scoperto la verità: il suo novello maritino sarebbe finito in carcere con l’accusa di tentato omicidio. Da settimane il 28enne temeva di finire dietro le sbarre. Camaldo le aveva provate tutte per sfuggire all’arresto. Aveva pensato di averla fatta franca quando aveva portato la Smart nera, di sua proprietà, a far lavare, convinto così di ‘dribblare’ la positività nell’esame Stub, quello per la ricerca di residui di polvere da sparo, al quale l’autovettura era stata sottoposta. Così come erano emerse delle incongruenze tra le sue dichiarazioni e i riscontri investigativi che avevano collocato il giovane sul luogo dell’agguato oltre ad una consolidata amicizia con un altro indagato. Addirittura il presunto mandante del tentato omicidio, Attilio Da Corte Zandatina, gli pagherebbe l’avvocato. Un puzzle che ha condotto in carcere Emanuel Camaldo al quale il pm Bertuzzi ha contestato anche la tentata rapina ai danni del supermercato Conad di Riccione del 22 gennaio 2014. A incastrarlo è sempre stato il suo Dna, ritrovato nella siringa usata come arma. Ma all’appello per il tentato omicidio di Mulargia mancano ancora altri attori. Il movente è da ricercarsi in un debito di droga che il 51enne riminese doveva a Zandatina da circa 15 anni.
