Un acquario fermo agli anni Sessanta, una struttura inadeguata per quattro delfini. Questa in sostanza la deposizione fatta ieri mattina da una delle due veterinarie del ministero dell’Ambiente, chiamate a testimoniare nel processo che vede alla sbarra l’ex direttore del Delfinario di Rimini e la veterinaria, accusati di maltrattamenti.
Una vicenda che nell’agosto del 2013 aveva suscitato un grande clamore mediatico, quando all’indomani del controlli fatti dal Corpo forestale dello Stato, i grandi mammiferi erano stati sequestrati dalla magistratura, per poi essere trasferiti nel’acquario di Genova. Trasferimento avvenuto tra proteste e polemiche, mentre per Rimini si chiudeva un’epoca. Ieri, la veterinaria del ministero ha sostenuto di avere fatto un sopralluogo di poche ore a fini amministrativi, arrivando però alla conclusione che la struttura non era idonea per quei quattro delfini. C’era un’unica vasca e nessun sistema di separazione nel caso dovesse essere svuotata. Inoltre l’uso dei farmaci era finalizzato a limitare l’aggressività del gruppo, ma non a curare le patologie. Secondo la professionista, o si sarebbero trasferiti un paio di delfini o la struttura avrebbe dovuto chiudere. I difensori degli imputati, Massimo Cerbari, Piero Ippoliti, Alessandro Petrillo e Piero Venturi, hanno più volte rimarcato il fatto che i gestori del Delfinario avevano chiesto molte volte negli anni di fare lavori di ampliamento, ma non erano mai stati autorizzati. La prossima udienza è stata fissata al 10 marzo prossimo, quando verrà sentita l’altra veterinaria del ministero.
Intanto pende in Cassazione il ricorso del Delfinario, contro l’ultimo rigetto del Tribunale della Libertà per il trasferimento dei delfini dall’acquario di Genova a quello di Roma.
