Nel Riminese si registra una decisa impennata nel numero di uomini che accedono ai percorsi di riabilitazione dedicati agli autori di violenza. I dati relativi al 2025, ormai giunto al termine, evidenziano come la presa in carico da parte delle strutture specializzate sia raddoppiata nell’arco di appena un biennio, segno di una maggiore emersione del fenomeno ma anche dell’efficacia delle normative recenti.
Il bilancio tracciato dal Cuav (Centro uomini autori di violenza) “Dire Uomo” parla chiaro: nell’anno corrente sono stati seguiti oltre 120 soggetti, tra attività svolte in sede e interventi all’interno della casa circondariale. Un numero in costante ascesa se confrontato con i 103 casi del 2024 e i circa 60 registrati nel 2023. Vincenzo Vannoni, psicoterapeuta e co-fondatore dell’associazione, ha ricordato come nei primi anni di attività gli utenti non superassero la ventina, sottolineando quanto la violenza di genere resti una problematica radicata nel tessuto sociale locale, ma anche quanto la rete di contrasto stia diventando più capillare.
Il ruolo del Codice Rosso e gli accessi volontari
Alla base di questo incremento non c’è solo un aumento degli episodi, ma l’applicazione più stringente delle misure previste dal “Codice Rosso”. La normativa, infatti, permette di vincolare la sospensione condizionale della pena alla partecipazione a specifici percorsi di recupero. Secondo quanto spiegato da Vannoni, la maggior parte dell’utenza arriva proprio attraverso canali giudiziari o inviata dai legali nell’ambito di procedimenti per stalking, maltrattamenti o violenza domestica. Tuttavia, lo specialista evidenzia anche un segnale positivo, seppur numericamente inferiore: cresce la quota di uomini che si rivolge al centro spontaneamente, o su input della partner, cercando aiuto per gestire la rabbia prima che il conflitto sfoci in reati gravi.
L’identikit e le radici culturali
L’analisi dell’utenza smentisce l’esistenza di un profilo standard del maltrattante. I percorsi coinvolgono persone dai venti agli oltre settanta anni, sia italiani che stranieri, appartenenti a ogni ceto sociale. Questo dato conferma che la violenza non è confinata a specifiche categorie o a situazioni di disagio economico, ma è trasversale.
Dal punto di vista psicologico, gli operatori rilevano spesso una profonda analfabetizzazione emotiva: molti uomini faticano a distinguere la rabbia, che è un’emozione legittima, dalla violenza, che è invece una scelta comportamentale. A questo si somma un retaggio culturale duro a morire, legato a una visione patriarcale dei rapporti che fino a pochi decenni fa era legittimata anche giuridicamente.
Il contesto delle vittime
L’attività sui maltrattanti corre parallela al supporto alle vittime, gestito dai Centri Antiviolenza (Cav). I dati dell’associazione “Rompi il Silenzio” confermano la gravità della situazione: fino al 31 ottobre di quest’anno sono stati registrati oltre 300 contatti da parte di donne in difficoltà, mentre le case rifugio hanno dovuto accogliere 27 donne e altrettanti minori.
Il protocollo riabilitativo per gli uomini prevede un impegno di circa un anno, con 60 ore tra colloqui individuali e di gruppo, mirati all’assunzione di responsabilità. Parallelamente, prosegue l’impegno sul fronte della prevenzione nelle scuole e attraverso iniziative pubbliche come la “Camminata degli uomini”, per scardinare la cultura della violenza fin dalle sue radici.













