Minacciava multe e ispezioni con la pretesa di bere gratis. Non solo, ma in un’occasione avrebbe anche palpeggiato la dipendente del bar senza tanti complimenti. «Siamo i padroni della spiaggia, ti facciamo chiudere», sono le parole che sono costate l’accusa di concussione a due militari della Capitaneria di porto di Rimini, uno dei quali è già stato trasferito. Questo deve rispondere anche di violenza sessuale nei confronti della giovane barista. Al termine dell’inchiesta, condotta dalla Squadra mobile, il giudice ha disposto per il militare l’obbligo di dimora nel comune dove è stato trasferito, mentre l’altro è ancora in forza alla Guardia Costiera di Rimini.
I fatti risalgono all’agosto del 2015 e due sono le serate ‘incrimnate’. Le indagini, durate sette mesi, sono scattate dopo la denuncia presentata dal gestore di un bar e da un cittadino extracomunitario che avrebbero raccontato di vezzazioni e minacce subite ad opera dei due militari. Uno in particolare, secondo gli inquirenti, sarebbe stato quello più insistente e aggressivo. La prima sera, questo si era presentato per prenotare un tavolo a un ristorante di spiaggia, millantando conoscenze influenti e ottenendo per questo un prezzo di favore. Al bar di spiaggia invece i due militari avevano addirittura preteso di bere senza sganciare un euro. «Se non ci fai bere grati ti chiudiamo il Chiringuito», avevano reagito alla rimostranze del titolare, minacciando controlli ispettivi. In un’altra occasione invece, il militare trasferito avrebbe affrontato un extracomunitario ambulante, chiedendogli za i documenti, con l’unico obiettivo di intimorirlo. Dopo avergli danneggiato la merce, gli aveva strappato dal collo la collana in acciaio che indossava e l’aveva gettata nella sabbia, così da renderne impossibile il ritrovamento. Non solo, ma, parecchio ubriaco, aveva anche messo le mani addosso alla dipendente del bar. Il militari rimasto a Rimini, difeso da Stefano Caroli, è già stato interrogato dal magistrato e ha raccontato di essere stato solo presente ai fatti, ma di non avere mai partecipato alle vessazioni del collega.
