«SE NON AVESSI pagato quei 10mila euro, sarei morto. Avevano minacciato di bruciarmi vivo». In Corte d’Assise per l’omicidio al Conad di Misano, è il giorno dell’imputato. Paoulin Nikaj, l’albanese di 34 anni, che il 17 marzo del 2014 ha ucciso il connazionale Nimet Zyberi. L’uomo, difeso dagli avvocati Cesare e Roberto Brancaleoni, ha sempre sostenuto che ha ucciso perchè spaventato a morte dalla famiglia di Nimet e per difendere moglie e figli. E’ un uomo piccolo e magrolino, e racconta la sua storia con un filo di voce.
IL DELITTO aveva avuto il suo prologo mesi prima, in una lite al bar tra l’imputato e il fratello della vittima, a cui Nikaj aveva prestato già 4mila euro che l’altro non sembrava intenzionato a restituirgli. Una lite, ha raccontato ieri Paoulin che era cominciata come uno scherzo e che era finita con lui che aveva colpito l’altro con una bottigliata. Un gesto imperdonabile per il ‘codice albanese’ che aveva fatto finire Nikaj nel mirino dell’intera famiglia. Questa pretendeva da lui un ‘risarcimento’ di 10mila euro o l’avrebbero ammazzato. Nel frattempo, così come vuole il ‘codice’, non doveva azzardarsi ad uscire di casa. Paoulin aveva chiesto scusa e cercato una mediazione tramite amici e parenti, così come vuole la tradizione, ma senza ottenere nulla. «Venivano sotto casa mia a gridare di non uscire e che mi avrebbero ammazzato». Lui ormai è terrorizzato, al punto che corre in Albania per comprarsi una pistola con cui difendersi.
IL 17 MARZO del 2014 il destino mette Nikaj sulla strada di Nimet. Il primo esce con la moglie per andare a fare spesa al Conad Agina, e Nimet fa la stessa identica cosa. «Appena mi ha visto al supermercato – racconta Paoulin – Nimet mi ha detto ‘sei uscito? Ti violento la madre e la moglie. Non hai pagato, devi dare subito 10mila euro sennò vengo a casa tua e ti brucio vivo’. Poi mi ha detto di aspettarlo fuori». Nikaj decide a quel punto di correre dallo zio, il quale ha già tentato una volta di fare da intermediario per ottenere la pace. «Sono andato subito da lui per chiedergli di venire al Conad e parlare con Nimet, ma lui non ha risposto. Allora sono corso a casa e ho preso la pistola, ero andato a comprarla in Albania perchè sapevo che volevano ammazzarmi. Ho pensato che facendogliela vedere mi avrebbe lasciato in pace. Ho lasciato mia moglie al supermercato, in mezzo alla gente e con le telecamere sarebbe stata al sicuro, non le avrebbero fatto del male».
PRESA l’arma, Paoulin torna al Conad, Nimet è ancora lì. «Lo vedo mentre io e mia moglie stiamo andando verso l’auto per portare la spesa, a lei ho detto di andare avanti, sarebbe stata più sicura se non fosse stata vicino a me. Quando Nimet mi ha visto è venuto nella mia direzione. ‘Aspettami’, mi ha detto». Paoulin ha la pistola nel borsello, anche se, dice, la sua intenzione non era quella di usarla. «Nimet mi ha minacciato di nuovo: ‘Non dovevi uscire di casa, devi tarci i soldi o ti brucio vivo’. Io gli ho risposto che non avrei pagato, e ho spostato la giacca facendogli vedere che avevo un’arma. Vai via gli ho detto, sono armato. Lui mi ha detto ‘sei morto’, poi è andato verso la sua auto, ha aperto prima lo sportello e poi il baule ed è corso verso di me. In una mano aveva un coltello, nell’altra una bomboletta da cui sembrava uscire una fiammata. Gli ho urlato di fermarsi, ma lui continuava a venire contro di me, lo ha fatto anche quando ho cominciato a sparare, cercando di colpirmi. Ho sparato tutti e sette i colpi».
Fonte: RESTO DEL CARLINO