Nessun elemento ha scalfito il quadro indiziario già emerso nei mesi scorsi. Per questo Louis Dassilva, il 35enne senegalese accusato dell’omicidio di Pierina Paganelli, deve restare in carcere. Lo ha stabilito il giudice per le indagini preliminari Vinicio Cantarini, che in un’ordinanza di 78 pagine ha respinto la richiesta di scarcerazione presentata dai difensori dell’indagato, Riario Fabbri e Andrea Guidi.
Il provvedimento arriva alla vigilia della nuova udienza davanti al Tribunale del Riesame, che dovrà riesaminare il caso dopo il pronunciamento della Cassazione. Il gip, tuttavia, non ha mostrato esitazioni: secondo quanto ricostruito, permangono gravi indizi di colpevolezza, legati sia al movente che alla dinamica dell’omicidio.
Un movente privato, fatto di segreti e paura
Alla base dell’intera vicenda vi sarebbe la relazione extraconiugale tra Dassilva e Manuela Bianchi, nuora della vittima. Un legame tenuto nascosto, che secondo gli inquirenti stava diventando sempre più difficile da celare. Pierina Paganelli – che abitava nello stesso complesso di via del Ciclamino – avrebbe iniziato a nutrire sospetti concreti, tanto da ipotizzare il ricorso a un investigatore privato. Questo avrebbe rappresentato per l’indagato una minaccia concreta alla propria stabilità familiare e personale, con il rischio di perdere casa, lavoro e la relazione clandestina con Manuela.
Il giudice sottolinea come la figura di Pierina fosse diventata, nella percezione dell’indagato, l’ostacolo principale da rimuovere. A rafforzare tale ricostruzione, le dichiarazioni rese da Manuela Bianchi nel corso dell’incidente probatorio, ritenute pienamente attendibili, a fronte del rifiuto dell’indagato di accettare un confronto diretto con lei.
Telecamere, dna e alibi: cosa resta delle prove
Una delle prove inizialmente considerate centrali – le immagini di una telecamera che inquadrava un uomo all’esterno della farmacia San Martino poco dopo il delitto – è stata definitivamente scartata. Gli accertamenti tecnici hanno infatti escluso che l’individuo ripreso fosse Dassilva, attribuendo quella sagoma a un altro residente del condominio, risultato non coinvolto nel delitto.
Nonostante ciò, per il giudice il crollo di questo elemento non indebolisce il quadro accusatorio. Anche l’assenza di DNA riconducibile all’indagato sulla scena del crimine viene ritenuta irrilevante, alla luce della scarsissima qualità dei reperti biologici recuperati, probabilmente compromessi dal tempo o da precauzioni adottate dall’aggressore (guanti, calzari, indumenti protettivi).
Il cellulare resta muto nell’ora del delitto
Altro dettaglio che rafforza l’ipotesi accusatoria è il comportamento del cellulare dell’indagato: il dispositivo risulta completamente inattivo nella fascia oraria compatibile con l’omicidio, un’assenza di utilizzo che, per gli inquirenti, rappresenta un ulteriore tassello di sospetto.
Per il gip non esistono alternative plausibili
Le piste difensive che chiamano in causa altri residenti del palazzo – in particolare i fratelli di Manuela Bianchi – sono state definite inconsistenti. Le verifiche sugli alibi di questi soggetti hanno restituito risultati solidi, tali da escludere il loro coinvolgimento. Resta quindi, secondo il giudice, una sola direzione investigativa, che porta a Dassilva.
Il pericolo di fuga e la reiterazione del reato
Oltre alla gravità degli indizi, a pesare sulla decisione del giudice vi è anche il rischio che l’indagato possa sottrarsi al processo o interferire con la raccolta delle prove. A questo si aggiunge la valutazione di un possibile pericolo di reiterazione del reato, data la natura del movente e la determinazione mostrata nell’eliminare l’unico ostacolo tra sé e la propria amante.
La posizione dell’indagato sarà ora rivalutata dal Tribunale del Riesame, ma intanto Dassilva resta in carcere, in attesa di ulteriori sviluppi.