Rimini. Regole, controlli e tanta folla. Così il Cocoricò è tornato in pista.

Cocorico_TOP_0«Si, un anno fa c’ero anche io qui fuori. Ho visto quando hanno caricato il ragazzo sull’ambulanza. Chi se la scorda più quella faccia da bambino?». Il buttafuori fissa il vuoto come se fosse appena apparso un fantasma. È un omone gigantesco, una montagna di muscoli alta due metri. Eppure basta pronunciare il nome di Lamberto Lucaccioni, il 16enne di Città di Castello stroncato da una dose letale di Mdma la notte del 19 luglio 2015, per fargli correre un brivido lungo la schiena. Alle sue spalle, dietro ai tornelli, c’è il popolo del Cocoricò: una bolgia fatta di braccia tatuate, jean strappati e canottiere da basket, che preme, si agita e sgomita attorno al perimetro della discoteca. «Ao’, annamo!» ruggiscono Cosimo e i suoi amici da Tor Bella Monaca, borgatari feroci con la faccia crivellata dai piercing. Sono venuti su con un pullman «che pareva una gabbia di matti: pieno così di gente sbronza che urlava e si tirava le cose». Michela e Claudia invece si sono fatte un’ora e mezza di treno da Bologna. «Per fortuna che avevamo una bottiglia di vodka al melone a farci compagnia», ridacchiano. Tutti sventolano carte di identità e patenti sotto gli occhi della security. Al ‘Cocco’ i minorenni non sono ammessi. È la regola, una delle tante volute dallo staff del locale dopo la tragedia, e dopo i quattro mesi di chiusura imposti dal questore di Rimini l’estate scorsa. Un’altra, ad esempio, vieta ai clienti di entrare e uscire a piacimento. Niente ‘timbri’ colorati sui polsi, niente viavai tra il parcheggio e la discoteca. Vaglielo a spiegare a Sergio e Luca, che hanno lasciato una bottiglia intera di rum nel baule della macchina. «E adesso come facciamo? Per ubriacarci al bar ci tocca vendere un rene!».

Niente da fare: sulla collina di Riccione controlli e sicurezza sono la nuova parole d’ordine. La corrente umana ci spinge fin sotto la piramide di plexiglass trasparente, incendiata dalle luci stroboscopiche. In pista un muro di braccia e gambe che si dimenano come tentacoli impazziti. «Visto che roba? Imballato di gente» gongola un pierre, uno dei ragazzi che ogni sera battono le strade a caccia di clienti per la discoteca. «Guarda che non è mica facile ripartire dopo quattro mesi di stop. Abbiamo dovuto stringere i denti, ma ora la ruota incomincia a girare e il locale pian piano sta tornando ai numeri di una volta. L’altra sera alla stazione i pullman hanno caricato 1.500 persone: non male per un venerdì. È vero, Riccione non è più quella dei tempi d’oro, i locali muoiono come mosche, la movida adesso si sta spostando a Gallipoli. Ma il Cocco è sempre il Cocco. La gente viene qui in pellegrinaggio da Napoli, Roma, Firenze, apposta per sentire i dj. E poi sai cosa ti dico? Rispetto a qualche anno fa, mi sembra che in giro ci sia molta meno feccia». Sarà anche vero, però non appena ci spostiamo veniamo abbordati da un tizio barbuto. «Md?» ci propone con un sussurro. La droga in cristalli, la stessa sciolta nell’acqua da Lamberto quella notte di un anno fa. Anche se a dire il vero è più facile che questo finto pusher voglia rifilarci dell’aspirina tritata. Qualcuno che non si è accontentato dei medicinali però c’è. «Andrè, Andrè, calmati, mettiti a sedere» sbraita un ragazzo all’amico che si tiene la testa con le mani e scende barcollando i gradini. Andiamo avanti, tra fasci di luce bianca e migliaia di giovani stritolati tra il bancone e la consolle. Le casse sono mitragliatrici che sparano raffiche di decibel. Una biondina con le trecce saltella come una pulce isterica, posseduta dal ritmo martellante. In mano stringe un bicchiere di gin tonic. «Il Cocco è la felicità» dice, ma non si capisce se a parlare sia lei o il quarto drink della serata. Il Resto del Carlino