Non sarà un palco tradizionale quello che lunedì prossimo, 8 settembre, ospiterà chitarre e amplificatori: le note riecheggeranno tra le mura del carcere di Rimini, dove la musica diventa occasione di incontro e strumento di riabilitazione. L’iniziativa, battezzata “La musica che unisce”, è organizzata dall’associazione “Nessuno è cattivo per sempre” con il sostegno di Cgil, Cisl e Uil Rimini, e sarà rivolta unicamente alla popolazione detenuta.
L’idea alla base dell’evento è chiara: la cultura, e in particolare la musica, hanno la capacità di abbattere barriere, creare relazioni e stimolare processi di reinserimento. Per le organizzazioni sindacali coinvolte questo gesto rappresenta un impegno concreto a favore di una comunità capace di non escludere nessuno, restituendo dignità anche a chi sta scontando una pena.
A dare voce a questo messaggio saranno Lorenzo Semprini e i Miami & The Groovers, band riminese che da oltre vent’anni porta sui palchi la propria musica. Il concerto riserverà alle persone detenute un percorso sonoro che intreccia brani originali con reinterpretazioni di alcuni dei grandi protagonisti della storia del rock e del folk internazionale. Ogni canzone fungerà da finestra aperta su temi universali come libertà, riscatto e possibilità di cambiamento, offrendo alla platea un’occasione rara di evasione — non dal luogo, ma dalle proprie difficoltà interiori.
Secondo quanto sottolineato dai promotori, portare un concerto dentro un penitenziario significa affermare che l’arte non appartiene solo a chi sta fuori, ma rappresenta un diritto universale. È anche un modo per ribadire che a ciascuno spetta la possibilità di una seconda opportunità, coerentemente con lo spirito della Costituzione.
Lunedì, quando le prime note risuoneranno tra le mura dell’istituto, non sarà solo un evento musicale, ma una dichiarazione simbolica: anche in un contesto chiuso e difficile come quello di un carcere è possibile aprire spazi di bellezza e di partecipazione condivisa, capaci di restituire fiducia a chi non vuole arrendersi alla propria colpa.