Rimini, una città sotto inchiesta E’ il fallimento dei poteri forti Dall’aeroporto alla Cassa: nel mirino politici, albergatori e avvocati

GnassiCIRCOLA una battuta in questi giorni a Rimini. «Se non sei indagato non sei nessuno». L’avviso di garanzia in questo gelido febbraio è diventato uno status symbol da esibire come un Rolex. E le due inchieste giudiziarie che si sono abbattute come un tornado sulla classe dirigente riminese sono lì a dimostrarlo. Nessuno, o quasi, di quella che una volta si poteva definire la Rimini-bene’ è rimasto immune: sindaci, presidenti della defunta Provincia, ex amministratori, imprenditori, professionisti sono finiti nella rete dei magistrati. Due inchieste separate che in comune hanno l’effetto di una bomba sulla città. Nel mirino della Procura sono finiti il crac della società che gestiva l’aeroporto Fellini e il più importante istituto bancario di Rimini. Nel caso di Aeradria (34 indagati) sotto la lente ci sono i finanziamenti pubblici che avrebbero mantenuto in vita un aeroporto già decotto’ fino a creare un buco di 52 milioni di euro. Nel caso della Carim (26 indagati) la Procura contesta false comunicazioni societarie e crediti massicci ad aziende senza le dovute garanzie. Due inchieste separate ma con un identico finale: secondo i magistrati nei rispettivi cda si nascondevano due «associazioni per delinquere». Un sistema Rimini’ che in questi anni avrebbe fatto fallire l’aeroporto e commissariare la banca. Politici e tecnici, manager e imprenditori che avrebbero tramato più o meno consapevolmente per nascondere conti e perdite. Nel grande calderone sono finiti anche personaggi che avrebbero solo avallato le scelte prese. Avvocati, albergatori, consiglieri comunali e altri boiardi colpevoli di sedere su una poltrona nei consigli d’amministrazione. E che ora si trovano nella scomoda posizione di indagati. Nomi che fanno rumore. I magistrati però non hanno guardato in faccia a nessuno. Tanto che nella maxi inchiesta sulla banca Carim c’è finito anche un morto. IL PROCURATORE capo di Rimini ha idee precise su quanto sta accadendo. «Se non ci fosse stata la crisi ha spiegato Paolo Giovagnoli non avremmo mai scoperto i reati». Il sistema Rimini’ insomma avrebbe potuto continuare a prosperare se ci fossero stati i soldi per coprire le irregolarità che venivano perpetrate nei cda. «Dietro a tutto questo c’è la grande crisi di San Marino e le importanti infiltrazioni malavitose spiega Paolo Fabbri, semiologo riminese di fama nazionale Situazioni che hanno spinto la magistratura a un maggiore attivismo. Ci sarebbe da chiedersi perché la giustizia non ha cominciato prima…». Le teste intanto continuano a cadere. Sotto alla ghiogliottina’ nei panni delle tricoteuses ci sono tutti i riminesi. Chi incredulo, chi per nulla sorpreso e chi infine può finalmente dire: «Io l’avevo detto». Tutti comunque smarriti e attoniti davanti a quella che sembra la fine di un’epoca. «Assistiamo a uno smottamento della classe dirigente commenta ancora Fabbri Lento e inesorabile. E questa frana è figlia una crisi generale nella quale ormai non si distinguono più i ruoli: politici, e professionisti si sono compenetrati. E i riminesi adesso ce l’hanno sotto gli occhi. Rimini in termini numerici sarebbe una città marginale nel panorama italiano, eppure quello che succede qui ha un valore esemplare. Senza tirare in ballo Matteo Renzi, qui c’è un problema di rottamazione di una classe dirigente che non ha saputo cambiare il gioco e non si è resa conto di essere arrivata a questo punto. Il sistema è saltato. Una classe dirigente responsabile penserebbe a farsi da parte e a lasciare strada a un nuovo corso». Il Resto del Carlino