UN NUOVO PROCESSO d’appello. Sarebbe uno Stasi ter. È la richiesta del sostituto procuratore generale Oscar Cedrangolo in Cassazione, dove si attende l’ultima parola sull’omicidio di Chiara Poggi, il 13 agosto del 2007 nella sua villetta di Garlasco e sul destino giudiziario dell’unico imputato: l’ex fidanzato Alberto Stasi nel dicembre dello scorso anno è stato condannato a 16 anni nell’appello bis a Milano. Nei confronti di quella sentenza il rappresentante dell’accusa è molto critico, fino a definirla meritevole senza rinvio, salvo poi, per «scrupolo» formalizzare la richiesta di un ritorno davanti alla Corte d’Assise d’appello di Milano.
È stata sbagliata la partenza . «È successo che il giudice del rinvio abbia ritenuto che gli fosse stato affidato un imputato che dalla posizione di accertato innocente fosse passato alla posizione di colpevole e ha ritenuto che il suo compito fosse quello di ricercare gli indizi a suo carico. Un modo di procedere non corretto, anzi in alcuni casi inaccettabile».
«NELLA SENTENZA di condanna – saetta ancora il sostituto pg – le risultanze processuali sono state mal valutate. Come si spiega il buonismo nell’eliminare l’aggravante della crudeltà per un imputato definito assassino senza pietà? Così si aggiunge solo dolore a dolore. Cose di cui si deve avere rispetto. Non so se l’imputato è colpevole o è innocente. Non ho gli strumenti e non è il mio compito. Invece, insieme, ognuno nel proprio ruolo, si deve stabilire se la sentenza è fatta bene o è fatta male. A mio parere è fatta male. È da annullare. Esistono i presupposti per l’annullamento senza rinvio. Ma ho apprezzato – continua il pg – la prima sentenza della Cassazione che non se l’è sentita di dire la parola fine su una vicenda così sofferta. Una questione di scrupolo. Così chiedo che mi venga concesso lo scrupolo di esercitare il diritto allo scrupolo. Sarà questa Corte a stabilire se esistono margini. Se la Corte deciderà l’annullamento con rinvio, questo deve essere fatto tenuto conto sia del ricorso della difesa sia di quello del procuratore generale».
Tagliente il giudizio sul presunto movente: «La sentenza si industria a costruirne uno: le immagini pedopornografiche nel pc dell’imputato, il turbamento di Chiara, il litigio, la paura dell’imputato che la ragazza parlasse distruggendo la sua immagine di ragazzo perbene». Altri deficit. Sui tempi di scivolamento del corpo di Chiara esistono due perizie contrapposte. Le impronte di Alberto sul dispenser del sapone liquido nel bagno dei Poggi: «l’imputato frequentava la casa, ci mangiava, ci dormiva, ci faceva l’amore, che interesse poteva avere a cancellare le impronte?». L’assassino stampa sul tappetino due suole insanguinate, ma non lascia tracce in uscita come se si fosse allontanato volando.
Nell’aula magna della Suprema Corte, dove è riunita la quinta sezione penale, l’effetto è deflagrante. Strada spianata per difesa, tutta in salita per la parte civile, l’avvocato Gian Luigi Tizzoni per i genitori di Chiara Poggi, l’avvocato Francesco Compagna per il fratello Marco. «Se non è stato Stasi – ironizza Tizzoni – si deve pensare che nei 23 minuti i cui cui l’imputato non ha un alibi in quella casa è entrato uno strano gnomo o uno sconosciuto talmente abile da non far percepire il pericolo alla vittima, che non ha urlato allarmando i vicini».
IL PROFESSOR Angelo Giarda, difensore di Stasi, chiede l’assoluzione per non avere commesso il fatto. Non c’è nessun indizio che porti al fatto storico dell’uccisione di Chiara Poggi da parte di Alberto. «Bisogna dare – aggiunge il penalista milanese – una verità alla famiglia Poggi, ma non seguendo l’interrogativo retorico e aberrante ‘se non è lui chi?’». Questa mattina la sentenza.
La Stampa