LA TRATTATIVA procede. Quello che all’inizio era un esile rigagnolo adesso sta diventando un fiume. «I numeri per portare a casa la riforma costituzionale ci sono, pure più ampi, ma vogliamo fare di tutto perché anche gli ultimi giorni siano utilizzati per coinvolgere quanti più senatori possibile», conferma Renzi. C’era il rischio di ripensamenti, passi indietro, sgambetti, ma non è successo. Anzi, ambienti della maggioranza garantiscono che i colloqui di queste ore con Bersani (
foto) e Cuperlo consolidano le basi per arrivare con la minoranza – a meno di colpi di scena – a un compromesso già lunedì in direzione. Che allenterebbe il nodo dell’articolo 2, ma senza mettere in discussione il principio che «la doppia lettura conforme di Camera e Senato protegge la norma da eventuali modifiche», scandisce Guerini.
SI LAVORA «solo» su quel comma (il quinto) che nel viavai fra Montecitorio e Palazzo Madama è stato modificato, rendendo «comunque» necessario – per dirla con i renziani – tornarci sopra con una nuova votazione. Diverse le ipotesi allo studio anche degli uffici legali del Senato per inserire una correzione che metta tutti d’accordo sotto forma di richiamo «all’indicazione diretta» dei futuri senatori da parte degli elettori, «secondo quanto stabilito dalle leggi regionali». Osservano i più smaliziati che c’è una ragione filosofica dietro certi atteggiamenti di Renzi: introducendo l’elezione «veramente» diretta poi lui deve andare a cambiare l’Italicum. Puntare sui listini regionali, invece, gli consente di arrivare al traguardo senza mettere ipoteche sul sistema elettorale nazionale. Poi si sa: c’è sempre qualcuno che la sa lunga. E racconta di una promessa fatta a Schifani per recuperare alla causa Ncd: «Cambierò la legge nel 2017 e con il premio alla coalizione Grillo non avrà chance».
Vero? Falso? Di sicuro – riconoscono i democratici – il «pasticciaccio brutto» del comma 5 rischia di restare incomprensibile agli elettori. Il ‘quasi accordo’ sta bene a Renzi che evita di andare avanti con i voti di Verdini, l’opposizione ‘garbata’ di FI e una rottura a sinistra. Contemporaneamente, mette al riparo Bersani da una scissione e una probabile sconfitta a Palazzo Madama, con i suoi che schivano il rischio di «restare sull’isola come i soldati giapponesi», per citare i fedelissimi del premier: grazie allo scouting di Lotti e Verdini ha tra i 159 e i 165 voti. Non basta, permette al presidente Grasso – protagonista di un duro scontro con Renzi in settimana – di uscire dal tunnel in cui si è messo decidendo di sciogliere il nodo sull’emendabilità dell’articolo 2 solo alla presentazione degli emendamenti. «Auspico sempre un’intesa in zona Cesarini», avverte. L’occhio dei vertici del Pd resta vigile verso l’ex pm, mentre lui assicura che non cederà a pressioni di nessun tipo. «La mia giacca è rinforzata».
IL DISGELO comincia con l’abbraccio a Piacenza tra Renzi e Bersani. «Leggo di disponibilità a modifiche dell’articolo 2. Sarebbe davvero una buona cosa», scrive di buon mattino su Facebook l’ex segretario Pd. Immediata la replica di Rosato, presidente dei deputati democratici. «Il partito non può spaccarsi su un tecnicismo». Di qui, la ricerca di un compromesso che passa sopra le teste dei parlamentari, a volte un po’ irruenti come Carbone. «Tanto casino e poi accettano il listino», cinguetta il renziano. In campo sono scesi ambasciatore del calibro della Boschi (per tacer di Guerini) e di Migliavacca ed Errani. Guarda caso sul tavolo ci sarebbero pure il governo (e il possibile ingresso dello stesso Errani) e il congresso del Pd.
Fonte: RESTO DEL CARLINO