E NON CHIAMATELO «colpo di scena». «Era chiarissimo – discettava, velenoso, un Francesco Storace in piena forma – che il sindaco avrebbe ritirato le dimissioni. Bel capolavoro, da Renzi e Orfini, bravi davvero! Adesso, però, cacciatelo». Macché. Ignazio Marino ha studiato ogni mossa nel dettaglio e ora, a due giorni dalla scadenza del suo mandato e dalla nomina di un commissario per la città e dopo 17 giorni di tira e molla, ha fatto quello che aveva annunciato ai suoi sostenitori: «Mi chiedete di ripensarci? Non vi deluderò». E i delusi, infatti, ieri erano altri. Molti altri. Un intero partito, il Pd e tutte le opposizioni, in Comune, come in Parlamento.
«SONO PRONTO a confrontarmi con la maggioranza – ha spiegato lo stesso Marino, uscendo da Palazzo Senatorio – illustrerò quanto fatto, le cose positive, la visione per il futuro, ma quello è il luogo della democrazia. Voglio avere una discussione aperta, franca e trasparente nell’aula Giulio Cesare; stiamo trasformando la città, la mia giunta ha cambiato Roma».
Il Marino-pensiero è contenuto in una lettera inviata agli uffici competenti. Lettera nella quale il sindaco riconosce sì «alcuni errori», ma rivendica «ogni atto e ogni scelta fatta in questi due anni e mezzo per cambiare Roma». E si dispiace per non aver potuto dialogare apertamente e in modo costruttivo con «l’Assemblea capitolina, a partire dal gruppo del Pd, il partito di cui è espressione». Quindi la necessità del dibattito pubblico.
Ecco, dunque, quello che vuole davvero Marino. Un’uscita di scena teatrale, davanti a un’aula gremita di folla perché in udienza pubblica, e lui che argomenta il buono e il cattivo del suo operato, appellandosi alla sua «onestà» intellettuale di «uomo che ha combattuto il malaffare» e, forse, proprio per questo è stato combattuto, fin da subito, dal «potere» romano che ne ha chiesto la testa. Complici – addirittura – «il Papa e il governo», a sentire i suoi. Una scena madre che Orfini e Renzi temono come la peste. E che il commissario del Pd romano l’altra sera, durante il colloquio finale con il sindaco, aveva tentato di esorcizzare:. «Ignazio, va bene, si va in Aula, nel discorso confermi le dimissioni, con l’onore delle armi».
MARINO ha invece preso tempo: «Vediamo come va. Dopo il dibattito farò le mie valutazioni». Che poi sono arrivate, a sorpresa, quando già erano pronti i 25 consiglieri dimissionari per disinnescare la mina del discorso. O, almeno, così pareva. Invece, è un numero ancora in forse e Marino potrebbe averla vinta, parlare «alla città» mentre, casomai, fuori dall’Aula i suoi fans grideranno «all’omicidio politico» di un sindaco «perbene». Poi sarà proprio il Consiglio a dover staccare la spina. Si dice la prossima settimana. Quel che è certo è che Marino, con fascia tricolore, sarà in aula bunker a Rebibbia il 5 novembre all’apertura del processo per Mafia Capitale. Qualcuno ha pensato che abbia fatto tutto questo caos solo per essere lì quel giorno; una mossa che si rivenderà con gli interessi quando si ripresenterà alle elezioni alla testa di una lista civica, «Roma per Marino», sostenuta forse da Sel e dai Radicali. Ma questa è una partita ancora tutta da giocare.
INTANTO, il sindaco gestirà la Capitale orbato di gran parte della sua Giunta, in gran parte dimissionaria non appena lui ha ritirato le sue. Uno dopo l’altro si sono ritirati il vicesindaco, Marco Causi, l’assessore ai Trasporti, Stefano Esposito, quello alla Mobilità, Alfonso Sabella e quello alla scuola, Marco Rossi Doria. Via anche l’assessore Luigina Di Liegro e quello ai Lavori Pubblici, Maurizio Pucci, mentre la titolare della Cultura Giovanna Marinelli resiste. In serata si apre un nuovo giallo. «Era molto sgradevole come assessore alla legalità – ha dichiarato Sabella a Piazzapulita su La7 – trovarmi con un sindaco sotto indagine per peculato, per quanto per cifre esigue». Frase che ha scatenato subito interrogativi: Marino è indagato per la vicenda degli scontrini o Sabella ha usato il termine in modo improprio?
Resto del Carlino