DOPO i fatti di Parigi il Vaticano non solo non arretra rispetto alla linea già programmata per lo svolgimento del Giubileo, ma addirittura rilancia tendendo la mano al mondo musulmano nel segno del dialogo e della misericordia. È il segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, a indicare la precisa volontà di papa Francesco di coinvolgere anche l’Islam negli eventi dell’anno giubilare che si aprirà l’8 dicembre.
«In un mondo lacerato dalla violenza – ha detto al francese
La Croix -, è il momento giusto per lanciare l’offensiva della misericordia». «È comprensibile che dopo gli attacchi esistano sentimenti di vendetta – spiega –, ma devono essere combattuti. Il Papa vuole che il Giubileo serva alle persone per incontrarsi, capire e superare il loro odio. Questo ora è un obiettivo rafforzato». Il punto di incontro tra religioni proprio in relazione al Giubileo è il fatto che «misericordioso è anche il nome più bello di Dio per i musulmani», ricorda Parolin. Così adesso si vuole puntare a inserire ulteriori momenti di incontro. E mentre la Francia reagisce alla carneficina di Parigi bombardando gli obiettivi Isis a Raqqa, il Vaticano ribadisce la linea già tracciata da Bergoglio, della necessità di arginare «l’aggressore ingiusto» rappresentato dal Califfato islamico ma in un quadro multilaterale che coinvolga anche gli attori musulmani.
«NON È possibile tollerare la violenza indiscriminata» sottolinea Parolin che, su questo, va al Catechismo della Chiesa Cattolica, spiegando che per uno Stato è giusto difendersi, proteggere i suoi cittadini e respingere i terroristi: «I legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità». Ma «nel caso di un intervento dall’esterno, occorre cercare la legittimazione attraverso le organizzazioni che la comunità internazionale si è data». Insomma, è quella risposta sotto l’ombrello Onu che da tanto il Vaticano invoca. Anche i Paesi musulmani «devono essere parte della soluzione». Intanto, pur nella consapevolezza del pericolo e delle minacce, né l’agenda né le abitudini del Papa cambieranno. La priorità è rappresentata dalla preparazione del viaggio in Africa in programma a fine mese con tappe in Kenya, Uganda e Repubblica Centrafricana.
SE IN KENYA i cristiani sono ancora bersaglio degli attacchi terroristici del gruppo somalo al-Shabaab, in Centrafrica continuano gli scontri del conflitto civile, anche in vista delle elezioni presidenziali di dicembre. «Rimangono le tre tappe – ha rassicurato Parolin a margine di un incontro –, poi si vedrà la situazione sul terreno». La sicurezza vaticana di raccordo anche con i servizi di intelligence internazionali sta intensificando in questi giorni di vigilia il lavoro di prevenzione per un viaggio che Bergoglio continua a volere fortemente. In sintonia col Vaticano torna a farsi sentire anche la Cei per bocca del presidente, il cardinale Bagnasco: «Non è l’ora di alzare muri, l’antidoto alle infiltrazioni violente è in una società più solidale». La paura comunque, esiste. Mentre i dispositivi di sicurezza vengono innalzati ai massimi livelli, in questi giorni si sono moltiplicate disdette e forfait negli alberghi romani.
La Stampa