
«L’ORA-LAVORO non può essere l’unico parametro per misurare il rapporto tra lavoratore e opera realizzata». Quella che poteva apparire a prima vista come una provocazione («L’orario un vecchio attrezzo»), il classico sasso gettato nello stagno, si conferma, il giorno dopo, come la linea politica del ministro del Lavoro Giuliano Poletti e del governo. E, infatti, va proprio nella direzione indicata il disegno di legge sul cosiddetto «smart work» o «lavoro agile» collegato alla manovra, firmato dal giuslavorista Maurizio Del Conte, neo presidente dell’Anpal, l’Agenzia per l’occupazione, e sherpa di Matteo Renzi in queste materie.
I LEADER sindacali, però, non ci stanno. Così come non ci sta la nuova Sinistra italiana di Fassina & Co., con qualche nota polemica anche della sinistra dem (come quella del governatore toscano Enrico Rossi), mentre renziani, Ncd e Scelta civica si schierano con Poletti. Va giù dura Susanna Camusso: «L’idea è quella di un ministro che non conosce com’è fatto il lavoro e vuole apparire come Ufo robot, per risolvere tutti i problemi. Ma le condizioni non vanno che peggiorando». Non basta: «Le cose affermate dal ministro Poletti dimostrano due cose possibili: o cambiamo il ministro del Lavoro che non sa che cosa è il lavoro; o cambiamo il ministro del Lavoro che ha deciso di abolire qualunque forma di tutela dei lavoratori». Altrettanto netto Carmelo Barbagallo, segretario della Uil: «Poletti è entrato a gamba tesa sul rinnovo dei contratti». Solo un po’ più soft la numero uno della Cisl Annamaria Furlan: «È un tema troppo serio, quello dei contratti, la sua uscita è stata estemporanea». A difendere il ministro, l’industriale Alberto Bombassei (Scelta civica): «Dietro la provocazione c’è anche tanta verità». E l’ex ministro Maurizio Sacconi: «È perfino banale, i cambiamenti in atto conducono a ritenere sempre più importante il risultato, rispetto al tempo di lavoro».
CRITICHE che non fermano il responsabile del Welfare, il quale, dallo stabilimento Ducati di Fagagna, in provincia di Udine, rilancia: «Guardando al futuro e anche all’oggi del lavoro continuo a pensare che abbiamo nuovi lavori, nuove tecnologie che ci permettono di lavorare non in un determinato luogo, ma in situazioni che sono le più diverse».
PER il ministro, insomma, «la valutazione oraria c’è e io ho solo detto non consideriamo questa l’unico parametro per misurare il lavoro. E questo non è un attentato ai diritti, figuriamoci». Secca la conclusione: «Salvaguardare le tutele storiche va bene, ma non può diventare la ragione per la quale non vediamo ciò che cambia».
Nessuna marcia indietro, dunque. Anzi, proprio il contratto integrativo della Ducati è per Poletti un esempio di come cambiano le cose: «Un’azienda dove l’operaio lavora in uno spazio e con dei tempi che non sono dettati da una macchina per cui ogni 30 secondi deve mettere un pezzo, ma si organizza e si gestisce da solo».
Resto del Carlino