COMMISSARI per il partito, commissari per i Comuni, commissari per eventi, sub-commissari per amministrare la Capitale d’Italia. Il Pd e la sua ‘mutazione genetica’ in partito dei commissari, fanno discutere. Dentro e fuori dal partito. Domani come ha annunciato lo stesso premier Matteo Renzi ci sarà il confronto con la minoranza interna sulla legge di Stabilità. Ma l’appuntamento, al di là del tema specifico e delle critiche arrivate da voci interne ai dem ad alcune misure della manovra, come l’innalzamento del tetto per i pagamenti in contante, sarà necessariamente un’occasione per fare il punto sul Pd. E su dove sta andando.
LA stagione dei commissari, infatti, viene vista dai più critici verso il premier-segretario come una strategia ad hoc, resa possibile da errori fatti dal partito sul territorio, per preparare la strada al futuro Partito della nazione: affermata la linea renziana anche sul territorio attraverso figure di riferimento e di fiducia del premier verrebbe ridimensionato il ruolo di dirigenti locali o nazionali che finora hanno avuto un forte radicamento e potere di decisione nelle città. Insomma, ragionano alcuni esponenti della minoranza, in questo modo Renzi sarebbe «sicuro di avere la regìa di ogni candidatura, senza trovarsi, come invece è già accaduto, nomi selezionati dal territorio».
Di certo al momento c’è il fiorire di commissari: da Matteo Orfini, scelto a dicembre dello scorso anno per rimettere a posto le cose nel Pd romano, al deputato renziano Ernesto Carbone commissario prima a Messina e poi anche ad Enna, fino ai prefetti Franco Gabrielli (che l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino ha definito la sua «badante»), scelto per coordinare il Giubileo quando l’inchiesta Mafia Capitale mieteva arresti, al commissario per l’Expo Giuseppe Sala a Milano, a Salvatore Nastasi a Bagnoli. Per arrivare a Francesco Paolo Tronca e ai sub-commissari che costituiranno il ‘dream team’ per traghettare Roma al Giubileo prima e alle elezioni poi.
IL VOTO, GIÀ. Secondo i parlamentari più vicini al presidente del Consiglio il ricorso ai commissari non corrisponde a nessuna strategia «personale» del premier ma solo a un interesse stringente del partito: uscire dalla bufera che si è alzata in alcune realtà, avere il tempo per selezionare una candidatura forte e appetibile con cui presentarsi al voto in primavera. Cosa che vale soprattutto per Roma dove, dopo la vicenda Marino, il Pd rischia, con un Movimento cinque stelle molto avanti nei sondaggi, di non arrivare al ballottaggio.
Se, infatti, il vicesegretario dem Debora Serracchiani da una parte parla di «primarie imprescindibili», dall’altra mette in rilievo che «in alcuni casi non sono obbligatorie, quando ci sono candidati condivisi». Frasi che la minoranza Pd non ha preso bene. Tant’è che Roberto Speranza ha invitato Renzi a incontrare Marino per evitare che l’ex sindaco si ricandidi fuori dal Pd e ha avvertito che «le primarie restano inevitabili». Anche perché «calare un nome dall’alto significherebbe perdere».
A gennaio, tra l’altro, ci sarà anche l’assemblea nazionale del partito che dovrà votare sul nuovo statuto del partito che dovrebbe prevedere tra l’altro l’albo degli elettori, novità destinata a cambiare le primarie, almeno come si sono viste finora, per il probabile effetto di restringimento della platea di votanti.
La Stampa