«CAPITANO, mio capitano». Se potesse salirebbe sulla statua del Marc’Aurelio in piazza del Campidoglio e si metterebbe a pestare i piedi dinanzi a un Robin Williams truccato da Ignazio Marino. Ma si deve accontentare di una pacca sulla spalla, una carezza alla barba, un coro da partigiani che si accende e poi si dissolve sulle note di «Bella Ciao». Giovani e meno, in bici o in bus riuniti in piazza del Campidoglio: il mondo del dottor Ignazio, medico prestato alla politica e a Roma, si materializza nel sit-in spontaneo dei «resistenti», quelli che vogliono sia sottratto alle logiche di maggioranza e resti alla guida della città. Cinquecento, mille, forse qualcuno di più, tutti convogliati davanti al Palazzo Senatorio dal tam tam della Rete e determinati, con cartelli e slogan, a dire «no» alle dimissioni e, insieme, a firmare il loro divorzio dal Partito democratico. La petizione che viaggia a sostegno ha raccolto 40mila firme.
UN TRIBUTO che Marino si gode dalla finestra dello studio dopo aver celebrato un matrimonio e poi accetta di condividere in piazza dove ci si compatta contro i nuovi nemici: la stampa e Matteo Renzi. È al premier che sono diretti gli ultimi slogan: «Dimettiti tu», gli dice la folla che promette di bissare oggi, dinanzi al Nazareno, per far capire che la città non ci sta a «questi giochetti» e che in molti il Pd «non lo voteranno più». Tutto diventa o bianco o nero: o stai con il sindaco o stai con la mafia.
Non c’è da mediare su scandali, scontrini e inciampi, piuttosto da mirare sui «poteri forti» che al dottor Ignazio gli hanno spezzato le gambe.
«Daje Marì, tieni duro», ma lui lo esclude. «No» risponde, secco, a chi gli chiede di non firmare le dimissioni. Eppure sicuramente un pensierino ce lo deve aver fatto fin da quando ha annunciato, insieme con il passo indietro, che la legge prevede 20 giorni di tempo per recedere. Come fosse una lavatrice. E il 5 novembre si apre il processo Mafia Capitale dove lui voleva arrivare con la fascia tricolore addosso.
È LA GRANDE angoscia del Pd, o almeno di parte del Pd perché qualcuno di minoranza ieri era in piazza del Campidoglio ad inneggiare al novello condottiero romano in Panda rossa. Come Marco Miccoli o Alfredo D’Attorre che ha attaccato la linea Renzi-Orfini: «Rischia di non essere compresa dalla base».
I democratici sono divisi, Marino appare incerto. Potrebbe tentare il blitz e non firmare, oppure ritirare la lettera e cercare una maggioranza composita disposta a sorreggerlo. O, infine, arrivare al voto, in primavera, a capo di una lista civica tutta sua.
«Voi – ha detto ieri alla folla – siete un patrimonio da non disperdere». In tutti i casi «mai più con il Pd» come tuonavano i manifestanti. C’è il ritrovato supporto di Sel e anche l’appoggio dei radicali accorsi in Campidoglio a manifestare.
Eppure Marino ieri ha rimarcato: «Non ci ripenso» a proposito del farsi da parte. Ma, sempre ieri, aveva deciso di non andare in piazza e limitarsi a salutare dalla finestra. Poi, però, ha imboccato le scale. «Ho pensato a tutte le persone che sono venute qui di domenica e sono sceso a ringraziarle», ha confessato ai suoi.
Mutevole l’umore, difficile il momento che strappa anche brividi di commozione. «Mi sono scese le lacrime a vedere quelle persone. Vorrei dire loro che li vedo, li sento, li ringrazio». A questo punto Marino potrebbe decidere di seguirne anche i consigli e «non mollare».