Roma. Marino prende ancora tempo. Orfini: vattene e basta

ignazio-marinoNON CI SONO le condizioni politiche perché il sindaco di Roma, Ignazio Marino, possa pensare di ritirare le sue dimissioni e restare in sella al Campidoglio. O, almeno, così ha chiarito il commissario del Pd romano, Matteo Orfini, dopo una breve, quanto intensa, ricognizione tra le fila dei consiglieri dem in comune. È solo che Marino ci crede ancora. E ieri, a sorpresa, dopo che lunedì aveva passato cinque ore davanti ai magistrati di Roma che indagano sulle sue spese di rappresentanza, se n’è uscito così: «Pensavo e penso che ho 20 giorni per fare opportune riflessioni e verifiche sulle mie dimissioni».

INSOMMA, ci ripensa? Il suo mandato scadrà ufficialmente il 2 novembre, Sel pare disposta ad «ascoltare le sue ragioni», come senz’altro faranno anche i Radicali Italiani, ma i numeri appaiono scarsi. D’altra parte, ieri anche Nichi Vendola ha smorzato gli entusiasmi di chi già vede il sindaco comunque alla testa di una lista «Marino per Roma». «È un’eventualità remota che Sel possa appoggiare un’eventuale ricandidatura di Marino – ha detto il leader Sel – perché ha ferito e lesionato il suo rapporto con la città e questo è un punto difficilmente removibile».
I tentennamenti del sindaco, però, danneggiano il Pd, come ha fatto ironicamente notare anche il ministro Alfano: «È un thriller sulla pelle della città, sta dando un ultimo aiutino al Pd». Quel che cerca il sindaco? Chissà. Per passare al contrattacco, dopo tutto, ha scelto il giorno dell’inizio del processo a Mafia Capitale, con il Campidoglio che si è costituito parte civile, come da richiesta (accolta) dell’assessore alla legalità, Alfonso Sabella. Carte alla mano dei suoi rendiconti, Marino ha negato ogni accusa.

«NON sono iscritto nel registro degli indagati, sono entrato in Procura come persona informata sui fatti e così sono uscito. Non sono indagato». Al momento no. Ma ancora: «Gli esposti presentati dal M5s e il gruppo An-Fdi sono vergognosi, scritti da persone in malafede o ignoranti». Ad esempio, ha spiegato, «gli scontrini riferiti alla tintoria non riguardano il lavaggio dei miei vestiti, ma di quelli storici dei trombettieri di Vitorchiano e di un tappeto rosso con cui viene accompagnato il capo dello Stato».
E allora perchè queste spese erano sui suoi rimborsi personali? Buio. Quanto ai ristoranti, «non ha mai cenato con la moglie nei ristoranti indicati dai documenti contabili, né ha mai usato denaro pubblico per fini diversi da quelli istituzionali». Il suo legale lo ha supportato sottolineando: «Le firme sui giustificativi di spesa non sono le sue». E, allora, di chi? Di qualche segretaria che non l’ha informato? Il «mistero» dei rimborsi di Marino, insomma, s’infittisce. Anzichè chiarirsi.

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