LA METRO di Roma che si ferma più volte nella giornata per sospetti pacchi bomba. A sera, tocca pure a quella di Milano, per lo stesso motivo. Ma è nella Capitale che la tensione è in crescendo. Pesa l’allarme lanciato dall’Fbi (che ha messo San Pietro, con il Duomo di Milano e la Scala come obiettivi prioritari dei terroristi) e dunque le parole pronunciate ieri dal Prefetto, Franco Gabrielli, non sono sortite a stemperare il clima come auspicato: «Dobbiamo avere sangue freddo, per forza».
Più freddo del solito per i romani che tra pochi giorni si sveglieranno in una città in «no fly zone» per tutto il corso del Giubileo. Ma d’altra parte, per dirla sempre con Gabrielli, siamo «ai tempi dell’Isis» e tocca farsene una ragione. Il governo fa quel che può per tenere bassa la tensione, ma la verità è che i nostri servizi stanno vagliando l’allerta lanciata dall’Fbi, con puntigliosi accertamenti su 5 nominativi indicati nell’informativa girata ai servizi: si cerca di capire chi sono e, soprattutto, dove si trovano. La segnalazione, tradotta dal Viminale in un ulteriore rafforzamento dei controlli, non avrebbe però suscitato un allarme specifico.
«Da ieri – ha spiegato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni – le nostre forze di sicurezza stanno lavorando per identificare cinque persone».
DIFFICILE, in queste condizioni, scacciare la paura. Che cresce mentre si cammina in una Roma quasi spettrale rispetto alla consuetudine e dove c’è un posto di blocco a ogni angolo. Una paura che sale e basta davvero un sacchetto dei rifiuti abbandonato in malo modo o altro per far scattare l’allarme. «In caso di minaccia concreta – ha giurato Gabrielli – abbatteremo droni e ultraleggeri sospetti», come se questo bastasse a restituire un po’ di tranquillità.
Intanto, è stata rafforzata la sicurezza attorno al Vaticano.
Si sta valutando anche l’ipotesi di una sorta di «cordone sanitario» che filtri con metal detector portatili quanti sono diretti in piazza o ai musei, ma già così com’è ora, con poliziotti e soldati ovunque, sembra di stare a Guantanamo più che in piena Santa Sede. Pure Papa Francesco ha mostrato fastidio per questa «blindatura». E ieri, durante la messa a Santa Marta, è andato giù duro: «Maledetti quelli che operano per la guerra e per le armi!». Lui, però, non si fa intimidire. Anzi. Li sfida.
Le tappe del suo viaggio in Repubblica Centrafricana (dal 29 novembre) le farà tutte e senza usare giubbotto antiproiettile. Non proprio prudente. Visiterà uno slum a Nairobi, celebrerà messe e incontrerà giovani allo stadio, una messa per i martiri anche in un grande parco in Uganda, quindi una veglia e un’altra messa allo stadio in Centrafrica, a Bangui. Infine, dentro una moschea. Che raggiungerà con la «Papa mobile». Scoperta. Francesco, dunque, sfida ogni appello alla prudenza nel cuore dell’Africa tormentata dall’Isis mentre San Pietro resterà nel mirino. Con il commissario di Roma Capitale, Francesco Tronca, che starà forse ancora lì a tentare di mettere in sicurezza le strade attorno al Vaticano senza neanche un soldo in tasca.
PERCHÉ il decreto del governo, varato venerdì scorso, non è stato materialmente scritto. I 200 milioni di euro per far fronte anche alle nuove emergenze, insomma, non ci sono ancora. E chissà. Intanto, un falso allarme bomba, per un bagaglio sospetto, ha scosso ieri anche l’aeroporto di Fiumicino. Ci mancava. «Niente panico», ha chiosato ancora Gabrielli. Un messaggio chiaro, ribadito per caso persino dalla suoneria del suo telefonino: «Don’t worry, be happy».
La Stampa