«INTERPRETARE il ruolo di sindaco come qualcosa di personale, come ha fatto Marino, non è sano, è pura patologia psichiatrica». Stefano Esposito, tornato da poche ore ‘semplice’ senatore del Pd, riavvolge il nastro di una giornata incredibile per Roma e per il Pd, come se fosse stato spettatore e non protagonista di eventi che segneranno la storia politica della Capitale, ma anche il governo Renzi. Perché un auto affondamento della consiliatura romana da parte del partito che la sosteneva, il Pd, non si era mai visto.
DA qualche ora, ormai, Ignazio Marino non è più sindaco di Roma. Lo hanno fatto decadere 26 lettere di dimissioni di altrettanti consiglieri comunali che davanti a un notaio, alle 17 di ieri, nel cuore del quartier generale consiliare capitolino di via del Tritone, hanno detto basta all’era ‘marziana’ del Campidoglio. Dimettendosi in blocco. Il consiglio comunale è così venuto meno e Marino con lui. Da ieri sera, la città è dunque commissariata. Al timone di comando arriva uno dei più noti prefetti della vita italiana, Francesco Paolo Tronca, già a Lucca, Brescia e Milano, scelto, come hanno sottolineato diversi esponenti politici, per l’ottima gestione dell’Expo nel capoluogo lombardo. Secondo il titolare del Viminale, Angelino Alfano, la scelta non è casuale, ma dettata dalla certezza che, con Tronca, il Giubileo possa funzionare come l’Expo, cioè bene. Tronca si è detto «orgoglioso della fiducia» e si metterà subito al lavoro».
MA torniamo alle vicende più strettamente politiche. Il premier ha cercato di stemperare il clima con replica indiretta all’ex sindaco: «Marino non è vittima di una congiura di palazzo, ma un sindaco che ha perso contatto con la sua città, con la sua gente. Al Pd interessa Roma, non le ambizioni di un singolo, anche se sindaco e per questo faremo di tutto per fare del Giubileo ciò che è stato l’Expo per Milano. Questa pagina si è chiusa, adesso al lavoro». Si chiude male, però. Dal notaio e non nel modo politico soft che si era immaginato. All’una di notte di venerdì, d’altra parte, le firme per l’auto affondamento c’erano già tutte. Virtualmente. Anche quella di Alfio Marchini e dei suoi consiglieri. Non quella dell’ex sindaco Alemanno. «È presto per fare ipotesi elettorali – giura Esposito – quel che è certo è che ora dobbiamo pensare a Roma e alle sue emergenze». Non è vero, ovviamente. La macchina elettorale per il Campidoglio sfreccia già veloce, proprio come quella di Marino che è dovuta passare proprio sotto via del Tritone, ieri mattina, di ritorno dall’Auditorium dove il sindaco, in mattinata, era andato a presentare il nuovo cda. E chissà se l’avrà vista quella scritta sul portone della sede consiliare affissa da alcuni dipendenti di Sel: «Oggi è morta la democrazia». «Quel che non capisco davvero – e sono sempre parole di Esposito – è perché Marino ci abbia mentito sull’avviso di garanzia».
GIÀ. Un fatto grave, nell’economia dei fatti. Perché nella lunga riunione dell’altra sera a casa dell’ormai ex vicesindaco Marco Causi (durata 5 ore), Marino non ha mai accennato all’indagine su di lui. «Ci ha mentito». Marino stesso, infatti, lo ha confermato ieri di essere indagato, parlando solo di «un atto dovuto». «Son convinto – ha detto – di aver spiegato le mie ragioni e la mia trasparenza: assolutamente convinto di non aver mai utilizzato denaro pubblico a fini privati, semmai ho fatto il contrario». Eppure, nei suoi confronti i pm ipotizzano i reati di peculato e concorso in falso in atto pubblico, non proprio una passeggiata. E Marino già sapeva il 28 ottobre. Ma ha taciuto.