PAPA Francesco, com’è suo costume, non si nasconde. «Rubare è un reato, far uscire quei documenti è stato uno sbaglio. È un atto deplorevole che non aiuta. So che molti di voi sono turbati dalle notizie circolate. Io stesso avevo chiesto di fare quello studio e quei documenti io e i miei collaboratori li conosciamo bene». È così che sotto un sole che non ha nulla di autunnale e dinanzi ad una piazza gremita, il Pontefice affronta di petto il caso Vatileaks. Riannoda il legame di fiducia con il popolo di Dio cavalcando il principio della trasparenza: «Voglio dirvi che questo triste fatto non mi distoglie certamente dal lavoro di riforma che stiamo portando avanti con i miei collaboratori e con il sostegno di tutti voi e di tutta la Chiesa. Perché la Chiesa si rinnova con la preghiera e la santità quotidiana di ogni battezzato. Perciò vi chiedo di continuare a pregare per il Papa e per la Chiesa senza lasciarsi turbare ma andando avanti con fiducia e speranza».
INTERROTTO dagli applausi, Francesco ha insistito sulle riforme e sui primi risultati «visibili» che stanno portando. Ma, soprattutto, ha voluto diradare le nebbie che sembrano avvolgere San Pietro in un alone di sospetti. Il Papa non manda a dire ma attacca. «Gesù ci dice che il metro di giudizio non è la quantità ma la pienezza. Non è questione di portafoglio ma di cuore». Occorre, ha sottolineato il Pontefice, «fidarsi di Lui, della sua provvidenza». Di fronte ai bisogni del prossimo «siamo chiamati a privarci di qualcosa di indispensabile, non solo del superfluo. Siamo chiamati a dare subito e senza riserve qualche nostro talento, non dopo averlo utilizzato per i nostri scopi personali o di gruppo».
Ha poi raccontato di una famiglia di Buenos Aires – città definita la sua «diocesi anteriore» – dove una mamma con tre bimbi era a tavola per mangiare le cotolette quando bussò un povero. La madre spiegò ai figli che al mendicante non andava dato un prodotto rimasto nel frigo ma la metà di ciascuna cotoletta. Condividere, ha insistito, è il messaggio che Gesù ci ha lasciato.
L’ERRORE di mettere il portafoglio al posto del cuore, concetto sul quale il Papa torna sovente, è stato al centro del suo discorso e non poteva sfuggire, ieri in piazza San Pietro, come certe parole mirassero dritte verso le cattive abitudini di alcuni membri di Curia. Uomini votati a Dio ma attenti ai beni materiali: le case, le auto, il denaro. C’è chi separa la preghiera dalla giustizia e dice di «amare Dio e invece antepone a Lui la propria vanagloria, il proprio tornaconto». Basta, ha concluso con i difetti che determinano stili di vita: «superbia, avidità e ipocrisia».
L’appuntamento domenicale ha riservato anche un saluto caloroso alle migliaia di partecipanti alla Marcia per la Terra, movimento per un’azione politica decisa e vincolante sul clima. Francesco ha ricordato come tutti debbano agire «come amministratori responsabili di un prezioso bene collettivo, la Terra, i cui frutti hanno una destinazione universale».
Resto del Carlino