Roma. Salva banche, Sergio Mattarella fa la forza d’interposizione fra Renzi, Visco e Vegas: “Collaborate”

Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella nell'aula del Senato in occasione del Concerto di Natale, eseguito dal Coro delle Voci Bianche del Teatro dell'Opera di Roma diretto dal M° Josè Maria Sciutto, 20 dicembre 2015, Roma. ANSA/UFFICIO STAMPA QUIRINALE PAOLO GIANDOTTI   ++  ANSA PROVIDES ACCESS TO THIS HANDOUT PHOTO TO BE -- USED SOLELY TO ILLUSTRATE NEWS REPORTING OR COMMENTARY ON THE FACTS OR EVENTS DEPICTED IN THIS IMAGE; NO ARCHIVING; NO LICENSING  ++

La parola chiave è “collaborazione”. Parola di buon senso, che se però viene pronunciata dal capo dello Stato, in una serie di incontri al Quirinale, con il presidente dell’Autorità anticorruzione Cantone e col presidente della Consob Vegas, diventa qualcosa che assomiglia a un’indicazione “politica”. E se questa indicazione, data nei giorni scorsi anche al governatore di Bankitalia Visco, avviene nel pieno di una crisi di fiducia del paese a causa di uno dei più grandi scandali di questi anni sulle banche e dopo una polemica frontale tra il premier e Bankitalia, allora l’indicazione è classificabile, senza esagerare, alla voce: monito, sia pur sussurrato a quattrocchi.

“Collaborazione” è la parola chiave per evitare, innanzitutto, che la confusione dei giorni scorsi possa alimentare – questo è il senso del ragionamento del capo dello Stato – un clima di sfiducia attorno al nostro paese, sfiducia che avrebbe conseguenze per il risparmio e per l’economia nazionale. È questione di sostanza, non di bon ton o di toni un po’ eccessivi. Un messaggio, raccontano fonti di governo informate, che dal Quirinale, attraverso qualche consigliere in via informale, è stato recapitato anche a palazzo Chigi: “Mattarella – dice la fonte – ha lavorato su tutti i fronti per stemperare la prima vera tensione che si è creata da quando è stato eletto, quella tra governo e Bankitalia e tra governo e Consob”.

Il picco si è verificato quando il premier ha annunciato il ruolo di Cantone sulla questione degli arbitrati. Annuncio giustificato, disse il premier, dall’esigenza di un “soggetto terzo, autorevole, in prima linea contro ogni forma di ingiustizia”. Parole suonate alle orecchie del governatore di Bankitalia – e non solo – come un forma di tutela e di sfiducia nei confronti di Bankitalia. E ancor peggio è suonata la richiesta di una “commissione di inchiesta” sulle banche dove, evidentemente, l’imputato sarebbero proprio le autorità preposte a vigilare, ovvero Consob e Bankitalia. Ecco che non è un caso che tutti gli attori, a telefono o di persona, hanno avuto in questi giorni contatti con Mattarella: Renzi, Visco, Vegas, Cantone. E non è un caso che già si vede, nelle dichiarazioni pubbliche, un certo abbassamento dei toni e delle polemiche.

Più che una questione giuridica, è tutta politico il conflitto che il capo dello Stato ha provato a ricomporre segnato anche da una controffensiva mediatica di Visco nello scorso week end. Perché è chiaro che un ufficio per gli arbitrati ce l’ha sia la Consob sia Cantone, ma è evidente che darlo all’Anticorruzione è un segnale di sfiducia verso Consob e Bankitalia, visto che l’anticorruzione non si è mai occupata di banche, ma di appalti, anticorruzione, comuni, regioni. E che, dunque, sulle banche parte da zero. Un conflitto delicatissimo, quello che si è trovato Mattarella e che ha esplorato sia negli incontri di oggi con Vegas e Cantone sia in quelli dei giorni scorsi, alimentato anche dal fatto che nessuna delle parti ha la coscienza immacolata. Né Bankitalia sulla vigilanza né il governo sull’Etruria, trasformata dal governo in Spa dopo essere stata bollita da un presidente (poi indagato) e da un vice che corrisponde al nome di Pier Luigi Boschi, in modo che continuasse a truffare i risparmiatori. Lo stesso governo che poi ha dato una consulenza al pm che, ad Arezzo, indaga sulla malagestione della banca di cui era vicepresidente papà Boschi.

In questa situazione la ricerca di un avversario, come ha fatto Renzi con Bankitalia di fronte all’infuriare della polemica, è apparso come un modo per non mostrare le crepe interne. Ma è un gioco pericoloso. Per questo il capo dello Stato si è messo all’opera per abbassare la temperatura, senza però sconfinare fuori dalle sue prerogative né verso il governo né verso il Parlamento. Perché la commissione di inchiesta si farà. È prerogativa del Parlamento e non a caso il renziano Marcucci ha depositato il ddl per istituirla. Ma non si configurerà come una ghigliottina per Bankitalia. E Cantone avrà i poteri anche se, magari, dovrà coordinarsi. Ecco, tutto si può fare, ma in modo da evitare quel conflitto tra istituzioni – tra governo e Bankitalia – che sarebbe stata la vera notizia, in termini di rischio per l’economia e di instabilità del sistema ben più della commissione di inchiesta e dei poteri di Cantone, che comunque non sono eventi immediati visto che per istituire la commissione la legge deve passare in entrambe le Camere e che per dare al presidente dell’Anticorruzione i nuovi poteri va scritto un decreto, poi va convertito. E poi c’è modo e modo di scrivere le cose… “Collaborare” è la parola chiave.

La Stampa