Roma. Senato, Boschi media per Renzi.

boschiL’IRRITAZIONE dei giorni scorsi non è svanita del tutto. Perché è stato davvero difficile da digerire, per la seconda carica dello Stato, che il Senato possa essere stato considerato, anche solo per un minuto come «un’istituzione di serie B». Questo, secondo Piero Grasso, hanno fatto Matteo Renzi e i suoi nei giorni scorsi. E neanche una volta sola. In particolare, Grasso non si sarebbe mai aspettato da Renzi l’uso di parole così grevi e
tranchant (poi regolarmente smentite) prima su un Senato «trasformato in un museo» e poi su un’operato del suo Presidente da considerare persino sovversivo se non conforme al volere del governo. E questo, fino al punto da giustificare una convocazione plenaria delle Camere.

«MA È IMPAZZITO!» avrebbe infatti detto Grasso l’altra sera, dopo l’infelice uscita di Renzi in direzione Pd. Poi, però, fatte partire le smentite di rito, a Palazzo Chigi si sono messi a ricucire. Perché hanno capito di aver tirato un po’ troppo la corda. E che, soprattutto, Grasso era davvero fuori dai gangheri.
Dunque, Renzi ha mandato avanti la sua ambasciatrice migliore, l’addetta alle operazioni più delicate e politicamente spericolate, anche con calibri come Verdini o Calderoli: Maria Elena Boschi. E la tensione è scesa. Il palcoscenico della riconciliazione tra governo e presidente del Senato è stato Palazzo Giustiniani, sede di un convegno sulla Costituzione. La Boschi e Grasso sono arrivati insieme, si sono intrattenuti a colloquio per un quarto d’ora e poi si sono seduti accanto, applaudendosi vicendevolmente durante gli interventi. Pace fatta? Pace è parola grossa, di questi tempi, ma il clima è sembrato decisamente più disteso.

GRASSO, però, ha tenuto a far capire che il perimetro d’azione delle forze politiche su una questione delicata come la modifica della Costituzione non può superare certi limiti. Limiti sfiorati, invece, in più di un’occasione. «Le regole della democrazia qualificano la libertà di ciascuno di noi – ha sottolineato – e vanno maneggiate con cura e cautela, misurando le parole e pensando alle future generazioni». Insomma, toni più bassi da parte di tutti.
Anche da parte di Renzi. Perché in questi giorni si è trattato la materia costituzionale «come strumento di bassa politica», con accordi di scambio per ottenere voti dove non si è mai anteposto «l’interesse generale a quelli particolari e personali». Insomma, un teatro che non è piaciuto a Grasso e l’ha messo più volte in difficoltà.
Ora, però, il presidente del Senato non vuole trovarsi sulle spalle la responsabilità politica di scelte pesanti, come la riapertura della discussione sull’articolo 2 o la bocciatura di emendamenti irricevibili. Casomai perché scritti male. Per questo ha detto con chiarezza, stemperando il suo invito in un morbido «guardo con ottimismo ai segnali di dialogo tra le parti», che la maggioranza gli tolga un po’ le castagne dal fuoco. Scrivendo «bene» gli emendamenti e inquadrandoli nella giusta possibilità di revisione del testo. Grasso, a quanto si sa, sarebbe orientato ad accogliere le modifiche al comma 5 dell’articolo 2 e anche altri su punti delicati (quorum necessario per l’elezione del Capo dello Stato e per i giudici della Consulta).
La sua decisione finale, comunque, si saprà solo questa mattina. Ieri, tirava aria comunque tesa in Aula. Grasso, infatti, ha chiesto ai 110 senatori iscritti a parlare di dimezzare i tempi d’intervento, per consentire a tutti di parlare. La cosa è stata letta da Mario Mauro, di Gal, come un cedimento di Grasso davanti alla «ferocia delle minacce a cui è stato sottoposto», ovviamente da parte di Renzi. Il presidente del Senato non ha gradito e ha risposto secco: «Non le permetto di pensare, né di sospettare una cosa del genere». È finita lì, ma oggi andranno in onda le repliche. Parecchie, a quanto pare.