Ministro Alfano, ieri da Vienna è arrivato un nuovo allarme terrorismo: sarebbe pronto un attentato in una capitale europea entro Capodanno. Cosa ne pensa?
«Dopo gli attentati di Parigi abbiamo elevato l’allerta al livello immediatamente precedente a quello dell’attacco in corso e abbiamo predisposto ulteriori potenziamenti per il Giubileo. Il rischio zero non esiste. Dobbiamo mettere nel conto l’arrivo di segnalazioni che vanno adeguatamente analizzate. Mai sottovalutare nulla, ma non possiamo nemmeno farci paralizzare».
Pensa che un possibile impegno dell’Italia in Libia aumenterà il pericolo di un attentato?
«L’eventuale impegno dell’Italia, nel quadro di una strategia condivisa, è da prevedere non come scelta unilaterale ma come frutto di un coordinamento. Non mi stanco di dirlo: siamo già esposti, come gli altri Paesi europei. Per questo il nostro sforzo non conosce pause»
Il Giubileo sta attirando meno pellegrini del previsto. Come procedono i controlli intorno a san Pietro, nella città di Roma e agli altri centri della cattolicità?
«Il lavoro dell’ intelligence antiterrorismo è stato fin qui straordinariamente efficace. Abbiamo in campo, senza considerare le nuove assunzioni nelle forze dell’ordine, il più alto numero di militari che si ricordi per l’operazione “strade sicure”: 6300 uomini e donne. E rispondiamo in modo flessibile all’idea di un giubileo decentrato, voluto da papa Francesco. Abbiamo intensificato i controlli non solo a Roma e a San Pietro ma anche alla Santa casa di Loreto, a San Giovanni Rotondo, ad Assisi e al santuario di Sant’Antonio a Padova».
Qual è il rapporto tra il Viminale e le principali comunità islamiche italiane? C’è chi vi aiuta a indagare su possibili sacche di estremismo islamico?
«Abbiamo per ora un rapporto proficuo con le comunità islamiche. Dopo i fatti di Parigi abbiamo sottolineato che ci sono momenti in cui non basta non essere terroristi. Bisogna essere “anti”. Ecco perché abbiamo chiesto che si levasse ancora più alta la voce del dissenso di chi nulla a che fare con le stragi».
L’emergenza profughi non diminuisce. Anzi, dopo la faticosa intesa sulla Libia, gli sbarchi sono ripresi. Bisogna temere una nuova ondata, magari più massiccia che in passato?
«La Libia è per noi un elemento determinante. Più del 90 per cento degli sbarcati sono partiti di lì. L’accordo di pace potrebbe essere un fattore determinante ma il condizionale è d’obbligo. I trafficanti di morte sono organizzatissimi. Al lavoro di presidio delle frontiere, almeno speriamo, dovremo affiancare un grande sforzo della comunità internazionale, cioè la coalizione anti-terrorismo con alle spalle i deliberati Onu. Bisognerà organizzare una vera guerra ai trafficanti di esseri umani. Occorrerà presidiare anche le frontiere meridionali della Libia, che aprono le porte a chi arriva dall’Africa sub-sahariana e dal Corno d’Africa. E poi sarà necessario organizzare lì, in terra africana, campi che possano permettere il discernimento tra i profughi e gli irregolari».
L a Commissione europea ha avviato una procedura di infrazione per la mancata applicazione del regolamento sulla registrazione dei migranti con la presa di impronte digitali (Eurodac). L’Italia come si sta attrezzando? E lei, da titola re del Viminale, come replica a questa contestazione?
«L’Italia ha dato una risposta da grande Paese nell’emergenza 2014 quando sono arrivate 170.000 persone e dopo una strage di 300 donne, uomini e bambini. È accaduto qualcosa di immane, di mai visto dal punto di vista organizzativo. Nel 2015 abbiamo avuto il tempo e la volontà di organizzarci, e l’abbiamo fatto. Arrivando quasi al 100% delle fotosegnalazioni. Il sistema degli hotspot, le strutture per registrare rapidamente gli immigrati, funziona, secondo gli accordi tra capi di Stato e di governo europei, con il ricollocamento degli immigrati – nello spirito di un’Europa solidale – e con i rimpatri. Ma se noi apriamo gli hotspot, e lo stiamo facendo, ma non si procede con i ricollocamenti e non sentiamo parlare di rimpatri rischiamo il collasso politico di un’Europa incapace di applicare gli accordi e il collasso funzionale. Perché gli hotspot servono a distinguere tra profughi e irregolari. Gli irregolari vanno chiusi in centri in vista del rimpatrio. Se non si rimpatria, i numeri crescono e si accumulano provocando problemi gravissimi. Anche per questo la procedura di infrazione ha un che di surreale. Ci aspettavamo una procedura di ringraziamento».
Si moltiplicano le proteste per la vicenda «salvabanche», scendono in piazza non solo i risparmiatori rimasti senza un euro ma anche molte associazioni di consumatori oltre che movimenti politici, primo tra tutti il M5S. Prevede problemi di ordine pubblico, nei prossimi giorni? E pensa che il governo riuscirà a superare questa crisi?
«Abbiamo il dovere di stare all’erta, e ci stiamo. Però vorrei ribadire che il governo si è subito schierato dalla parte dei risparmiatori. Il mio primo impegno, col nuovo anno, sarà l’organizzazione di comitati di controllo in tutte le prefetture italiane per evitare truffe soprattutto nei confronti degli anziani e perché la scelta del cliente sia sempre più consapevole. Il risparmio è un pezzo fondamentale della nostra economia e della nostra identità nazionale. Ho già sentito i vertici dell’Associazione Bancaria Italiana che mi hanno assicurato la loro piena disponibilità a far sì che questo strumento, così capillarmente decentrato sul territorio, funzioni al meglio. Non credo che il sistema bancario possa desiderare o giustificare la mancanza di trasparenza».
Resto del Carlino