«L’ITALIA conferma i suoi impegni». La chiave dell’incontro tra il presidente francese Francois Hollande e il premier Matteo Renzi è tutto in questa frase che il presidente del Consiglio ha ripetuto ai giornalisti citando il Libano, l’Iraq, la Siria, l’Afghanistan, il Kosovo e l’Africa. Aree «dove è molto forte l’impegno francese» e anche quello italiano.
L’incontro di Parigi non ha smosso di una virgola la posizione italiana che – dice l’opposizione – ora rischia di finire ai margini dello scenario internazionale. Merkel e Cameron annunciano contromosse concrete per la guerra che l’Isis ha dichiarato alla Francia e all’Europa tutta. La Gran Bretagna in particolare sembra pronta ad avviare missioni militari a fianco di Hollande. La Germania spedisce aerei e una nave militare.
RENZI però non si convince e non intende perseguire una qualsiasi forma di intervento armato in Siria, pur confermando «che Italia e Francia sono due nazioni sorelle» e l’obiettivo comune resta la «distruzione di Daesh». Il problema è come arrivare a questa meta. Se Hollande sperava di ottenere di più dall’Italia ha dovuto incassare il mantenimento dello status quo globale. «Che non è poco – filtra da Palazzo Chigi – considerato che l’Italia ha un dispiegamento di contigenti pari a 5.700 uomini impegnati in 18 paesi per un totale di 25 missioni». E se la Germania invia i Tornado a scopo ricognitivo «la Merkel andrà a fare quello che noi già facciamo da un anno e passa». Ossia, sorvegliare il territorio e studiare i possibili obiettivi con l’ausilio di quattro Tornado che sono di stanza negli Emirati Arabi. Forse Hollande avrebbe gradito che gli aerei fossero impiegati anche nei bombardamenti: «Se anche l’avesse ipotizzato nel bilaterale non se ne è parlato», riferiscono i bene informati.
L’ITALIA in Iraq ha 500 uomini per l’addestramento delle forze speciali locali e altri 250 se ne aggiungeranno a breve secondo quanto previsto dal Decreto missioni, voluto e varato prima dei fatti di Parigi. La tragedia di venerdì 13 novembre non cambia l’impegno di Roma e, sottolineano fonti qualificate, «Hollande non ci ha chiesto altro». Di conseguenza, secondo Palazzo Chigi, non si è creata alcuna incomprensione con Parigi, tantomeno è calato il gelo tra i due interlocutori il cui faccia a faccia si è svolto all’insegna della «piena sintonia».
I nostri soldati sono pronti a supportare i colleghi francesi nei teatri che vedono l’impegno congiunto. E potrebbero dare una mano concreta, liberando forze francesi, soprattutto in Libano ma senza incrementare ulteriormente le presenze sul campo. In più l’Intelligence ha accentuato la cooperazione con la condivisione di ogni dato sensibile. Ma il problema, ha ribadito Renzi che non a caso dopo l’incontro all’Eliseo si è recato alla Sorbona, non è circoscritto. C’è la Libia, in primo piano oltre alla Siria e c’è l’esigenza di individuare una «strategia comune» che riguardi anche il «dopo». «Pensiamo – ha detto il nostro presidente del Consiglio – che si debba arrivare alla conclusione di avere non soltanto la necessaria reazione, ma una strategia globale, diplomatica, militare, umanitaria, culturale e civile». In questo quadro Matteo Renzi ha auspicato che, ad operare, sia «una coalizione sempre più inclusiva».
SUL NORD AFRICA ha insistito: «Occorre dare massima priorità al dossier sulla Libia perché rischia di essere la prossima emergenza e siamo impegnati affinché l’opportunità del processo di Vienna (il negoziato in atto per la Siria) possa allargarsi alla Libia».
Solo dinanzi ad una strategia globale portata avanti da una coalizione quanto più possibile allargata, il nostro governo potrebbe «ripensare» il tipo di impegno sul campo. Fino ad allora l’Italia mantiene fermi gli accordi e si allinea ai compiti già assunti «a fianco della comunità Ue, della Francia e di tutta la coalizione dal punto di vista diplomatico», ha sottolineato il presidente del Consiglio.
La Stampa