Cento migranti in corteo al Comune di San Ferdinando: “Italia razzista”. Bruciato un cassonetto e blindati attorno alla tendopoli
SAN FERDINANDO (Reggio Calabria) – Cento migranti sono scesi per le strade di San Ferdinando per protestare dopo l’episodio di ieri nel corso del quale un carabiniere ha ucciso un giovane del Mali che, secondo la prima ricostruzione, lo aveva aggredito e ferito con un coltello. Tra i manifestanti c’è rabbia e tensione, ma al momento non si registrano episodi di violenza. I migranti stanno scandendo slogan contro i carabinieri, “razzisti”, e alzano cartelli contro “l’Italia razzista”. Sono tutti diretti verso la sede del Comune. “Non siamo
qui per fare la guerra o per fare casini”, ha detto uno di loro, “siamo qui per lavorare e per mangiare. I carabinieri devono venire per mettere pace e non per uccidere”. Attorno al corteo sono presenti agenti di polizia in borghese.
Già nella notte, dopo che i migranti di ritorno dai campi avevano appreso la notizia del 27enne ucciso, c’erano stati disordini. Un cassonetto della tendopoli di Rosarno, distante una decina di chilometri da San Ferdinando, è stato dato alle fiamme e la polizia poi ha disperso il gruppo. Attorno alla tendopoli ci sono diversi blindati.
La lite che ha portato all’intervento del carabinieri nella tendopoli di Rosarno e all’uccisione del giovane maliano era scoppiata per futili motivi. Secondo la ricostruzione ufficiale, la vittima, Sekine Traore, in mattinata avrebbe aggredito con un coltello un altro ospite del campo, quindi si sarebbe scagliato contro un altro uomo tentando di strappargli il borsello. Preoccupati dal comportamento di Traore, già a metà mattina visibilmente ubriaco, gli altri ospiti del campo avrebbero tentato inutilmente di calmarlo, mentre qualcuno allertava le forze dell’ordine. Ma l’intervento dei militari non ha fatto che innervosire ulteriormente Traore, che si è scagliato contro di loro. A farne le spese è stato uno dei carabinieri intervenuti, ferito vicino all’occhio da un fendente del bracciante. Terrorizzato, il militare avrebbe sparato, colpendo Traore all’addome. Ora i migranti negano che il maliano abbia aggredito il carabiniere. L’inchiesta è in corso.
Tutto è successo di fronte a molti dei migranti ospiti della tendopoli. Alcuni raccontano in modo diverso quanto avvenuto. Lo confidano ai pochi volontari che continuano a lavorare in zona, insieme ai sanitari di Medici per i diritti umani (Medu) che cercano di fornire l’assistenza minima ai braccianti fantasma che lavorano nei campi tra San Ferdinando e Rosarno. Sì, ammettono, è vero, c’è stata una lite in mattinata. Ma nessuno di quelli che hanno assistito a quello scontro è certo di aver visto “un fratello” scagliarsi contro il militare. La colluttazione –affermano – sarebbe avvenuta quando i carabinieri hanno tentato di avvicinarsi. Altri sostengono che uno dei due uomini avrebbe sì puntato il coltello contro il carabiniere, ma solo a grande distanza. Altri ancora che i due militari avrebbero raggiunto Sekine Triore all’interno della tenda, lì sarebbe avvenuto lo scontro e il giovane maliano sarebbe stato ucciso da un colpo di pistola all’addome. Il carabiniere che ha sparato è stato iscritto sul registro degli indagati per omicidio volontario, ma il procuratore capo di Palmi, Ottavio Sferlazza, sembra orientato a considerare la reazione del militare legittima difesa.
Nella tendopoli tutti adesso hanno paura. Una condizione permanente nel ghetto che ospita i braccianti. Per loro poco o nulla è cambiato sei anni dopo la rivolta che ha permesso al mondo di conoscere le condizioni di sfruttamento dei lavoratori migranti che permettono alla arance di Rosarno di arrivare nei mercati di tutta Italia. Usciti dalla “Cartiera”, lo stabile fatiscente in cui hanno trovato per anni alloggio e riparo, abbattuta dopo la rivolta, solo in pochi hanno trovato affitti accessibili in paese o un casolare diroccato in cui trovare riparo, mentre la tendopoli messa in piedi dalla Protezione civile per ordine della Prefettura si è rapidamente gonfiata a dismisura rendendo assolutamente insufficienti docce e servizi di cui il campo è dotato. Lì era previsto che vivessero non più di 350 persone. Oggi, sarebbero mille. Senza un contratto che ne regolarizzi la posizione, ma spesso anche senza documenti che ne certifichino l’esistenza, sottopagati, privi di assistenza e tagliati fuori dai servizi, i braccianti di Rosarno non vivono, ma sopravvivono nella Piana, durante la stagione della raccolta delle arance.
Qualche mese fa, a richiamare l’attenzione sulla loro tragica condizione, è stata Medu, l’organizzazione che ha denunciato le terribili condizioni di vita e lavoro dei braccianti, identificate come principale causa delle patologie più comunemente riscontrate. Ma soprattutto ha squarciato il velo sulle aggressioni che i migranti subiscono ormai regolarmente, sempre di notte e sempre senza colpevoli. Colpa dei caporali stranieri? Degli agricoltori della zona? Le indagini non sono ancora approdate a nulla, mentre molte aggressioni sono state archiviate.
La Repubblica.it