Le immagini, le luci, i volti dei grandi campioni del passato, le danze, una grande scenografia con un megapallone ovale “atterrato” in mezzo a Twickenham come fosse un meteorite. E un filmato brillante e commovente, una rievocazione storica volante dal 1823 ai giorni nostri, con tanto di cameo del principe Harry e del mito del rugby inglese Jonny Wilkinson nelle vesti di giardinieri di due secoli fa. La cerimonia inaugurale dell’ottava Rugby World Cup non ha deluso le aspettative, mentre per un’ora abbondante di gioco a deluderle è stata l’Inghilterra, in un match che si è incanalato bene solo nel finale.
Figi battute 35-11 nel corso di un happening in cui si è visto (e sentito) di tutto: ad esempio, un arbitro (il sudafricano Jaco Peiper) che prima concede una meta agli isolani senza chiedere la prova tv e poi si rimangia la decisione vedendo il replay sul maxischermo dello stadio, i fischi da quel momento in poi per certe scelte del direttore di gara e infine, cosa ancora più strana ma spiegata dalla presenza di molti appassionati francesi, il canto della Marsigliese che ha riecheggiato un paio di volte.
L’aristocrazia vera della World Cup è tutta qui. Nessun’altra squadra ha disputato una finale, mentre in semifinale sono riuscite ad arrivare anche Galles (1987 e 2011), Argentina (2007) e Scozia (1991). Curioso che l’Irlanda non sia mai andata oltre i quarti, e questa sulla carta potrebbe essere la volta buona.
Quanto alla “geografia”, le situazioni opposte si riscontrano per Australia e Nuova Zelanda: la prima ha vinto due Coppe giocando all’estero, la seconda si è aggiudicata le due edizioni casalinghe. L’Inghilterra, invece, è l’unica europea ad aver vinto il titolo, e ci è riuscita dall’altra parte del mondo, battendo in finale i padroni di casa australiani. Se stavolta sapessero sfruttare al meglio il fattore campo, i Bianchi della Rosa raggiungerebbero a quota due affermazioni le grandi dell’Emisfero Sud.
Insomma, al dunque le gerarchie non cambiano granché. Un altro esempio? Considerando le prime tre edizioni della Coppa, con formato a 16 squadre, e le successive cinque (formato a 20), sono solamente 25 le Nazionali con almeno una partecipazione. In sostanza, a quelle in campo quest’anno si aggiungono Costa d’Avorio, Portogallo, Russia, Spagna e Zimbabwe. Un po’ poco a fronte delle risorse che World Rugby, la federazione internazionale, destina allo sviluppo del gioco nei Paesi meno progrediti. D’altronde anche il fatto che 12 squadre, cioè le prime tre qualificate di ogni girone dell’edizione precedente, si assicurino già un posto ai Mondiali successivi non dà una mano. Mentre nel rugby a sette giocatori, che esordirà l’anno prossimo alle Olimpiadi, le sorprese non mancano.