ALL’INDOMANI della introduzione di dure sanzioni contro la Turchia per l’abbattimento di un suo bombardiere, la Russia punta di nuovo il dito contro Erdogan ribadendo un’accusa che pesa come un macigno: quella di fare affari con i terroristi dell’Isis e di essere coinvolto, assieme alla «sua famiglia», nel traffico illecito di petrolio dai territori occupati dai jihadisti in Siria e in Iraq. Parole dure quelle del viceministro della Difesa russo, Anatoli Antonov, che per presentarle, nella stanza dei bottoni a Mosca, ha chiamato parte della stampa internazionale e gli addetti militari di tutte le ambasciate, comprese quelle dei Paesi Nato. Il presidente turco ha risposto per le rime dichiarando che «nessuno può lanciare calunnie contro la Turchia», e promettendo di reagire alla «reazione spropositata» della Russia.
Antonov questa volta ha tirato in ballo il genero di Erdogan e neoministro dell’energia Berat Albayrak, e un figlio del leader turco, Bilal, che possiede una società specializzata in lavori pubblici e trasporti marittimi (la Bmz). Ma non ha chiarito quali siano le loro presunte responsabilità in questo «business criminale». E del resto Mosca non ha ancora presentato prove schiaccianti.
HA PERÒ mostrato delle presunte immagini satellitari di immense colonne di autocisterne in viaggio – stando a Mosca – verso la Turchia. Le accuse che la Russia rivolge al ‘sultano’ – e che gli Stati Uniti bollano come «assurde» – non sono comunque nuove. Putin ha lanciato il primo siluro contro il leader di Ankara due giorni fa, dopo aver rifiutato l’invito di Erdogan a un bilaterale a margine del vertice sul clima a Parigi: abbiamo motivo di «sospettare», aveva detto Putin in quell’occasione, che dietro l’abbattimento di un jet militare russo da parte degli F-16 turchi nella zona di confine con la Siria ci sia la volontà «di assicurare le forniture illegali di petrolio dall’Isis alla Turchia». Dal Qatar, Erdogan ha risposto al nuovo affondo russo in modo simile a come aveva già fatto lunedì: «Nel momento in cui potranno dimostrarlo mi dimetterò, come dovrebbero fare quelli che non possono provare le loro accuse».
SECONDO i vertici militari di Mosca, non solo la Turchia è «il maggior consumatore del petrolio rubato» dai jihadisti «alla Siria e all’Iraq», ma da questo Paese, «solo nell’ultima settimana», hanno raggiunto i gruppi dell’Isis e dei qaedisti di al Nusra «fino a 2mila militanti, oltre 120 tonnellate di munizioni e circa 250 mezzi di trasporto». La Russia sostiene di aver individuato tre percorsi attraverso i quali il petrolio dell’Isis giunge in Turchia: una rotta occidentale che porta agli scali marittimi turchi sul Mediterraneo, una rotta settentrionale che conduce alla raffineria di Patma, e una rotta orientale che porta a una grande base nella cittadina di Cizre.
IL VICECAPO di Stato maggiore russo, Serghiei Rudskoi, osserva che «la coalizione internazionale a guida Usa» non conduce raid aerei contro le autocisterne e le infrastrutture dell’Isis in Siria per la produzione e il commercio del petrolio, mentre, dice, i raid aerei russi in Siria iniziati poco più di due mesi fa hanno già dimezzato i proventi del traffico illegale di petrolio da parte dell’Isis da tre milioni di dollari al giorno a 1,5, distruggendo «32 raffinerie di petrolio, 11 impianti petrolchimici, 23 complessi per il pompaggio del petrolio e 1.080 autocisterne». Ma se Putin si è rifiutato di parlare con Erdogan a Parigi, i ministri degli Esteri di Mosca e Ankara potrebbero invece incontrarsi oggi o domani a Belgrado, a margine della Conferenza dell’Osce.
La stampa