TENSIONE altissima, anche se Russia e Turchia riducono di qualche grado la temperatura di una crisi giunta quasi al punto di fusione. Ma la Russia non perdona. Ha annunciato che oltre al possente incrociatore
Moskva che incrocia davanti Latakia (e che con i suoi 64 missili S300 Fort è in grado di garantire uno schermo protettivo di 150 chilometri), installerà nelle sue basi in Siria un’altra batteria di missili antiaerei S300 e soprattutto una di S 400, arma letale che può puntare 72 obiettivi e abbatterne in modo simultaneo 36, con una raggio di azione che varia dai 250 ai 400 chilometri dell’ultima versione. Probabile anche l’invio nei prossimi giorni di una dozzina di caccia SU30 Flanker, che si aggiungono ai 4 già operativi e ai 14 SU34 Fullback.
Ieri, in una operazione congiunta con l’esercito siriano, i marines russi hanno recuperato, in una azione durata 12 ore, il navigatore del suo bombardiere SU24, sopravvissuto a differenza del suo collega pilota, e prigioniero per qualche ora di una formazione turcomanna che è stata circondata e convinta a mollarlo.
«NON C’È stato nessun avvertimento radio dai turchi – ha poi detto ai media russi il capitano Konstantin V. Muratin – nessun contatto visuale. Ci siamo trovati il missile in coda all’improvviso. E di sicuro non abbiamo sconfinato. Eravamo a 6 mila metri, le condizioni meteo erano perfette e sapevamo esattamente dove si trovava il confine e dove eravamo noi». In risposta i turchi hanno diffuso l’audio degli avvisi radio che dicono di aver inviato per 10 volte.
Le versioni restano discordanti, ma di certo i russi, pur senza sparare contro i turchi, non vogliono lasciare impunito l’abbattimento. Dopo aver recuperato alle 3.20 ora locale il loro uomo, è scattata la prima rappresaglia. Protetti da caccia SU30 Flanker, quattro SU24 hanno effettuato pesanti attacchi al suolo nella regione di Jabal Akrad e Jabal Turkma, nel nord della provincia di Latakia, non lontano da dove è caduto l’aereo russo. Ma soprattutto ieri due aerei russi hanno attaccato un convoglio di 20 camion turchi che era appena entrato in Siria: ufficialmente aveva a bordo aiuti umanitari, ma era diretto in una zona controllata dai jihadisti di al Nusra. E il bilancio è pesante: 7 morti e 10 feriti. In risposta la Turchia ha schierato in una base vicina al confine sedici F16.
FORMALMENTE però si cerca di ridurre la tensione. «Dopo quello che è successo ieri, non possiamo escludere qualche altro incidente, ma se succederà dovremo reagire in un modo o nell’altro», ha ammonito Putin, che si prepara a ricevere oggi al Cremlino il presidente francese Francois Hollande, al termine di una reciproca spola diplomatica. Ma Mosca sembra non voler perdere un’occasione unica per riconciliarsi con l’Occidente: l’ambasciatore russo a Parigi, Alexandre Orlov, ha assicurato ai media francesi che il suo Paese sarebbe pronto a costituire uno «stato maggiore comune» nella lotta all’Isis, che comprenda la Francia, gli Usa e anche la Turchia. Una coalizione, a suo avviso, «ancora possibile: torneremo a parlare con la Turchia. È un nostro vicino, e un vicino importante». Segnali di distensione arrivano anche da Ankara. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha assicurato di non avere «assolutamente alcuna intenzione di provocare un’escalation dopo questa vicenda», cedendo alle pressioni di Obama. Sulla stessa lunghezza d’onda il suo premier, Ahmet Davutoglu. A rompere il ghiaccio è stato il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu, che ha telefonato a Lavrov e, pur giustificando l’abbattimento del jet, ha espresso le condoglianze e il rammarico per l’accaduto. I due dovrebbero incontrarsi a breve, forse a Belgrado, secondo fonti di Ankara, ma Lavrov per ora non conferma. La crisi non è passata ma resta sospesa poco sopra il baratro.
La Stampa