San Marino. 25 novembre: impegniamoci tutti i giorni perché ci siano sempre più uomini che amano le donne … di Alberto Forcellini

Tutto il mondo si è espresso contro la violenza sulle donne nella giornata dedicata a questo terribile argomento, il 25 novembre scorso. Cosa abbiamo imparato? Cosa è rimasto? C’è una nuova speranza? I dati purtroppo sono come sempre agghiaccianti.

Nel mondo, una donna su tre ha subito violenza fisica, psicologica o sessuale. In alcuni paesi questo dato già drammatico sale a sette donne su dieci. La violenza contro le donne è una delle più diffuse violazioni dei diritti umani e non fa distinzioni: colpisce donne di ogni età, etnia, cultura e ceto sociale. Si stima che circa 133 milioni di donne abbiano subito una qualche forma di mutilazione genitale, mentre oltre 700 milioni si sono sposate da bambine, di cui 250 milioni prima di compiere 15 anni. Quello che sta succedendo in Iran è la rappresentazione plastica di dove può arrivare la violenza sulle donne.

Il bollettino della parte industrializzata, moderna e democratica del mondo, scandisce un altro dato agghiacciante: solo una donna su sette arriva alla denuncia. C’è tuttora un mondo sommerso di paura, di dolore, di frustrazione e solitudine, che non emerge. Poi arrivano i femminicidi: uno ogni tre giorni, 141 nell’arco di un anno, nella vicina Italia. Si ha quasi l’impressione che più se ne parla, peggio succede…

Fino al 1975, con il vecchio diritto di famiglia, la violenza dell’uomo (capofamiglia) verso la moglie era legittimata, la donna andava “educata”. Un aspetto che ritorna nella violenza attuale maschile, che ha anche una presunzione di ruolo educativo. Possiamo dire che la violenza maschile è frutto di una cultura strutturale millenaria. È il segno di come questi modelli tradizionali si riproducano in una società avanzata, in cui gli uomini continuano a riproporre quel riferimento culturale, anche in presenza dei cambiamenti epocali attuati dalle donne. Gli uomini vivono uno scollamento dalla realtà sociale, una realtà contraddittoria. I ruoli tradizionali che vedevano nel maschio chi portava i soldi a casa, chi seduceva, chi si aspettava un’accoglienza calorosa nel focolare domestico, si scontrano con una realtà femminile emancipata, capace di autosufficienza e molto determinata.

Va considerato anche come il maschile oggi abbia una centralità politica, le destre fanno leva sulla frustrazione maschile (vedi Trump, Bolsonaro, il revanscismo islamista radicale, ma anche gli estremismi europei) raccontando la caduta del mito del cittadino autosufficiente e produttivo, del neoliberismo. Quel mito che con la crisi del 2008 si è ribaltato nel suo opposto: se hai fallito è colpa tua. Così l’uomo licenziato, che non trova lavoro, va in crisi perché perde la propria identità, facendo sì che tutte le spinte revansciste maschili, oggi, si basino sul vittimismo. Ma la frustrazione maschile è data anche dalla colpevolizzazione che viene dalle donne e dal femminismo.

Gli uomini continuano a essere identificati come emergenza e patologia che richiede repressione, non discussione. Le campagne sulla violenza parlano delle donne seguendo un cliché: il problema riguarda esclusivamente le donne, l’immagine del femminile viene associata al bisogno di protezione secondo il modello paternalista maschile: tutto questo non decostruisce la violenza. Andrebbe invece valorizzata di più la soggettività delle donne, che non vanno dipinte solo come vittime.

Ancora una volta, l’educazione assume dunque un ruolo centrale nella lotta a questa piaga sociale. È necessario insegnare ai bambini il rispetto per le donne (ancora meglio per tutte le creature viventi) e formare le ragazze affinché possano diventare dei modelli all’interno delle rispettive comunità. “Modelli femminili forti e intraprendenti sono molto importanti nell’eliminazione della violenza perpetrata contro le donne”. Questo è l’invito che arriva dalle autorità internazionali.

L’obiettivo è veicolare alle cittadine e ai cittadini di ogni età azioni di sensibilizzazione, acquisizione di consapevolezza di sé e delle differenze di genere, di educazione alle proprie emozioni, per combattere gli stereotipi e i pregiudizi, sia sul maschile che sul femminile, imparando a rispettare l’altro.

Lavoriamo e impegniamoci perché ci sia un 25 novembre sempre più celebrato anche dagli uomini che vogliono legami affettivi sani e liberi. Uomini che amano le donne.

a/f