La cronaca giudiziaria è un capitolo classico del giornalismo in qualsiasi parte del mondo. A San Marino siamo andati oltre, perché nel tempo ha preso coloriture politiche sempre più forti, da giungere perfino alla spy story. Tutto comincia nella precedente legislatura quando, per coprire la vicenda Titoli, nasce uno scontro di poteri che non si era mai visto: il Congresso di Stato presenta un esposto contro la magistratura a seguito delle perquisizioni nell’abitazione di Raffaele Capuano, che si era appena dimesso dall’incarico di direttore BCSM, dopo neanche due mesi dalla nomina (novembre 2017). Il quale non c’entrava per niente nella vicenda Titoli, come poi hanno evidenziato i fatti.
Ma per chiudere il buco con una toppa così raffazzonata, se ne apre un altro ancora più grande, che sfocia con lo scontro pesantissimo in Commissione Giustizia e Consiglio Giudiziario, dove si decide la revoca dell’incarico da magistrato dirigente a Valeria Pierfelici (marzo 2018).
Per non farla lunga, arriviamo alla nomina (non del tutto rituale) del dirigente non magistrato Giovanni Guzzetta, dietro alla quale sfocia una serie interminabile di contestazioni, sia da parte politica, sia da parte dei giudici. Tra i fatti più eclatanti: il ricorso presentato da alcuni giudici (con soldi pubblici deliberati dal Congresso) contro la Reggenza e l’Ufficio di Presidenza per la mancata presa d’atto sulla nomina di due nuovi giudici di appello. Poi, con l’inizio della nuova legislatura, prende il via una sorta di mobilitazione da parte di un gruppo di magistrati con lettere pubbliche ai giornali e la denuncia contro San Marino presso gli organismi internazionali.
È uno scontro istituzionale senza precedenti, a cui hanno messo fine (in questa legislatura) la riforma giudiziaria e la relazione della commissione di inchiesta. La quale ha alzato il velo su chi e cosa si agitava dietro le quinte: politici, imprenditori e un giudice compiacente. Il loro obiettivo: occupare le istituzioni politiche, finanziarie e giudiziarie, per lasciare San Marino sul lastrico.
Ora che la stagione è cambiata, che numerosi fascicoli sono stati aperti, che si è cominciato a perseguire molte di quelle responsabilità, ci permettiamo di dire che c’è ancora qualcosa da sistemare. Cominciando dalla lunghezza dei processi, alcuni durano decenni (con inevitabile prescrizione dei reati) e altri hanno vizi procedurali per i quali i cittadini ricorrono alla CEDU e ne ottengono ragione. Il tribunale conta almeno 25 giudici (numero approssimativo) e un nutrito stuolo di operatori, dai cancellieri agli usceri; costa al bilancio pubblico 15 milioni di euro all’anno: perché queste lungaggini, che mettono in difficoltà i cittadini, lo Stato e la sua immagine?
Altro problema. È diventato di moda assolvere gli imputati perché i fatti non costituiscono reato in quanto, a suo tempo, non erano contemplati dal Codice di Procedura Penale, ma vengono sequestrati i loro beni “perché frutto di illecito”.
Scusate, ma chi come il cittadino comune non è avvezzo ai sofismi del diritto, non capisce. Il reato c’è stato, o no? Se è no, come recita la sentenza, come si fa a dire che i soldi sono frutto di reato? E se poi gli ex imputati dovessero dimostrare che i beni in loro possesso sono leciti e trasparenti, chi paga i danni di questa ulteriore complicazione?
Altra questione è la recente riforma, intervenuta anche sulla composizione degli organismi di gestione della magistratura. Qual è il Consiglio Giudiziario, che sulla scorta di indicazioni europee, ora è formato da 4 membri togati e quattro non togati. Il rebus viene quando c’è da giudicare l’operato di un giudice (vedi Buriani). I quattro membri togati si astengono, perché sono colleghi, magari amici; un non togato è assente, la deliberazione passa con tre voti. Tutto legittimo e a norma di legge: ma non sarebbe il caso che certe norme europee siano adattate ad un micro Stato, con Tribunale unico, dove la terzietà appare quasi una chimera? Come è successo ad esempio, sempre a proposito di Buriani, quando il Collegio Garante non accettò il ricorso a carico dello stesso Buriani perché era “stressato”.
Com’è possibile che un giudice pluri-indagato, rinviato a giudizio, rimanga ad amministrare la giustizia per molti mesi? Da quello che raccontano le cronache, Buriani non è l’unico ad essersi trovato in questa situazione.
Un’ultima considerazione ci sia concessa sui processi politici e conseguenti sentenze a loro volta giudicate “politiche”. La storia di questi anni, sulla quale sono stati versati fiumi di inchiostro, ci ha fatto capire come e perché si sono svolti certi fatti, chi c’era dietro e quali obiettivi aveva. Vedi processo Mazzini e processo Gatti-Galassi. Ora, tutti sappiamo che si trattò di processi mediatici, inchieste pressapochiste, sentenze emesse a priori nei bar, disposti che sono romanzi senza uno straccio di prova.
Ma dieci anni fa, tutti avevano creduto ad una sorta di “Mani pulite” del Titano. Il danno a questi imputati non l’hanno fatto le persone, i cittadini, o le forze politiche che avevano creduto all’operatività dei giudici e alla buona fede di certi giornali. Il danno vero l’hanno fatto coloro che, lavorando nell’ombra, hanno creato le condizioni per far sì che ciò succedesse e avessero campo libero all’avvento di una classe politica compiacente verso i loro progetti.
Ai cittadini e alle forze politiche di cui sopra rimane comunque la facoltà di un giudizio morale su ciò che quelli di prima e quelli di dopo hanno fatto, e che si può sempre esprimere nell’urna.
a/f