Teatro Nuovo di Dogana, sabato sera. Una platea, così piena, colorata e festosa da far dimenticare il buio della pandemia. Ma con una grande preoccupazione tra le file degli spettatori sammarinesi. “È pieno di riminesi, qualcuno li ha controllati? Avranno preso il vaccino? Saranno tutti negativi? Perché anche qui non mettono l’obbligo del green pass?”
Questo il nodo da sciogliere: bisogna dare un giro di vite al green pass per evitare le chiusure e l’aumento dei contagi? Lo stanno facendo tutti i paesi europei, non solo per fronteggiare la quarta fase e adesso anche lo spettro della variante Omicron, ma anche per prevenire il peggioramento della situazione. In Alto Adige, 36 Comuni sono tornati di nuovo in zona rossa. Lazio, Lombardia e Veneto rischiano di entrare in zona gialla prima di Natale.
E poi c’è la Svizzera che, di fronte alle proteste sul green pass, ha scelto il referendum. Durante il weekend appena trascorso, oltre il 60 per cento degli svizzeri ha votato a favore del mantenimento della «legge Covid», che include il green pass obbligatorio per entrare in bar e ristoranti, cinema, musei, eventi sportivi e lezioni universitarie in presenza; e dell’aumento di stipendio per gli infermieri. Una vittoria ottenuta nonostante che l’opposizione, nelle ultime settimane, si fosse fatta più rumorosa e organizzata, oltre che meglio finanziata. Intanto la situazione pandemica è molto critica, perché il tasso di contagi è più alto che in Germania e i vaccinati sono solo al 65%.
A San Marino siamo ancora agli ingressi liberi quasi ovunque, senza nessun obbligo di green pass. Perché c’è ancora chi non ha capito che quando l’interesse del singolo coincide con l’interesse della comunità, si accetta qualsiasi limitazione. Non si può accettare qualsiasi sciocchezza.
Anche dal punto dell’informazione, l’uno a uno, cioè uno spazio vax e uno no-vax, parrebbe molto forzato perché vorrebbe dire una voce allo scienziato e una voce allo scienziato laureato su Facebook. Questa non è democrazia, è confusione.
Questo ci porta ragionare sull’individualismo, ovvero quelle dottrine etico-politiche che affermano l’autonomia, il valore preminente e i diritti dell’individuo. Il primo esempio di individualismo si ebbe nel 494 a.C. con la cosiddetta secessione del Monte Sacro. Accadde che la plebe romana si ritirò sul Monte Sacro, tre miglia lontano dalla città, rifiutandosi di lavorare per i patrizi finché non avessero ottenuto il riconoscimento del diritto di costituire una propria assemblea. Vennero mandati molti ambasciatori, ma nessuno riuscì a persuadere i manifestanti a ritornare in città. Ci riuscì il console Menenio Agrippa, un uomo anziano, molto saggio e molto amato dal popolo, con una storia che divenne famosa come “l’apologo di Menenio Agrippa”.
Il saggio uomo cominciò a raccontare che, un giorno, le membra del corpo umano si indignarono perché tutte le loro cure, tutte le loro fatiche e funzioni servivano solo per mandare il nutrimento al ventre. E questo se ne stava tranquillo lì, in mezzo al corpo, non facendo niente, godendosi solo i piaceri che gli altri gli procuravano. Decisero dunque che le mani non portassero più cibo alla bocca, che la bocca non lo ricevesse, che i denti non masticassero più ciò che avevano ricevuto. Per questa loro ostilità, però, non solo il ventre, ma anch’esse si ridussero a un estremo esaurimento. Capirono così che anche la funzione del ventre non è inutile, che esso nutre in quanto è nutrito, restituendo a tutte le parti del corpo, equamente diviso per le vene, il sangue che dà la vita e le forze, che si formano appunto dal cibo elaborato dal ventre. Allora le membra si riconciliarono con il ventre. “Così il senato e il popolo, come fossero un unico corpo, con la discordia periscono, con la concordia rimangono in salute» spiegò Agrippa. Di qui partì la trattiva per una riconciliazione, che portò vantaggi sia al senato, sia alla plebe.
Oggi, dopo secoli di evoluzione storica e filosofica, dopo la rivoluzione francese e il marxismo, il rapporto tra individuo e Stato, tra diritto dei singoli e diritto della comunità, si è fatto così complesso che neppure l’enorme produzione legislativa riesce forse a dirimere ogni aspetto. Spetta alla politica mediare eventuali conflitti, nella consapevolezza che ogni parte del corpo sta bene se ciascuna di esse contribuisce al benessere complessivo. Esattamente come ci ha insegnato Menenio Agrippa, anche in epoca di Covid, il benessere della collettività passa attraverso l’impegno di tutti.
a/f