È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d’informazione e di critica. Così comincia uno dei capisaldi che regolano la deontologia professionale di chi fa questo difficile mestiere.
Pertanto se un giornalista dovesse venire in possesso di una intercettazione telefonica che riguardasse un personaggio pubblico, magari particolarmente scabrosa, come si dovrebbe comportare?
Non ho dubbi: dovrebbe pubblicarla. Perché anche se un ipotetico procedimento a carico di un sempre ipotetico politico, riguardasse reati di natura fiscale, ma emergesse per esempio un dialogo a luci rosse con una escort, io credo che per quanto tale episodio non abbia nulla a che fare con l’indagine, la gente avrebbe il dovere di conoscere la condotta morale di chi li rappresenta.
Quindi se un giornalista dovesse entrare in possesso di tale documentazione, sarebbe suo preciso dovere scrivere.
In questi giorni si fa un gran parlare in Italia di intercettazioni telefoniche, con la possibile riforma annunciata dal Guardasigilli, Carlo Nordio.
Personaggio che, non smetterò mai di dirlo, apprezzo particolarmente e sono certo farà benissimo da qui ai prossimi anni nel ruolo di ministro alla Giustizia.
Nordio ha ragione da vendere quando parla di abuso delle intercettazioni.
Perché, ha spiegato, per i vari passaggi previsti dalla legge “finiscono a conoscenza di decine di persone”. “L’abuso su cui vogliamo intervenire – ha dichiarato – è in questo mare magnum”, che fa finire sui giornali “notizie che diffamano e vulnerano l’onore di privati cittadini”. “L’articolo 15 della Costituzione italiana dice chiaro e tondo che la segretezza delle comunicazioni è inviolabile, può essere eccezionalmente limitata dall’autorità giudiziaria, ma questa è l’eccezione. In Italia abbiamo avuto spesso l’impressione che la regola fosse quella di lasciare pubblicare tutto anche attraverso i brogliacci della polizia giudiziaria che l’esperienza giudiziaria ci dimostra essere molto spesso inaffidabili, ma non per cattiveria e malafede di chi li trascrive. Semplicemente perché nella trascrizione di queste intercettazioni che molto spesso sono di difficilissima captazione, l’errore è spesso in agguato”.
Tutto corretto. Fermo restando che le intercettazioni sono fondamentali non tanto e non solo nei reati di terrorismo e mafia, ma ad esempio quando si parla di corruzione.
Non sono tuttavia via qui per dare un giudizio politico o di merito su quello che deciderà il Parlamento italiano. Almeno non per il momento.
Ciò che mi preme sottolineare è che la croce non può essere gettata addosso ai giornalisti.
I quali, come ho spiegato nell’incipit, fanno solo il loro mestiere nel momento stesso in cui danno notizie vere e di pubblico interesse.
Eppure la censura è in agguato. Ed anche il possibile inasprimento di sanzioni verso la categoria.
Ma il problema semmai sta a monte.
Nel rapporto, in alcuni casi al limite della legalità, che sussiste fra alcuni magistrati e alcuni giornalisti.
Qui ci si dovrebbe eventualmente interporre, con pene più severe per uffici ed ufficiali ed intervenendo con ancora maggiore decisione con riguardo alla garanzia di riservatezza delle comunicazioni non rilevanti a fini della giustizia penale.
Sono tutto sommato d’accordo nel limitare il “gossip” – detto che andrebbe meglio chiarito cosa si intenda per gossip – ma ribadendo per l’ennesima volta e con forza come il problema stia a monte.
Nel momento stesso in cui viene fatta una trascrizione ed essa diventa di pubblico dominio, non vedo come possa essere ritenuto responsabile della sua diffusione (e punibile) un qualsiasi media!
Ma sono fiducioso che un garantista e conoscitore della materia qual è Carlo Nordio, non scivolerà su nessuna buccia di banana e certamente partorirà una buona legge, rispettosa di chi è sotto processo, ma anche della libertà di stampa e di espressione, a propria volta tutelata – non scordiamolo mai – dalla Costituzione e dalla Cedu.
David Oddone
(La Serenissima)