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  • San Marino. A sei mesi dallo scoppio della guerra, il conflitto prosegue con passo lento. Tra Russia e Ucraina, la mediazione della Turchia … di Alberto Forcellini

    Dai sei mesi sentiamo l’eco della Grande Guerra e peggio ancora le brutte risonanze della Seconda Guerra Mondiale: civili ammazzati senza pietà, brutalità senza fine, distrutti i simboli della cultura e della socialità, l’ambiente naturale massacrato. Mai si pensava di poter assistere a tanta barbarie alle porte dell’Europa.

    Dal 24 febbraio scorso, il mondo non è più lo stesso, perché un po’ tutti abbiamo perso la fiducia e purtroppo anche la speranza di vivere in un mondo migliore. Difficile immaginare che potesse andar peggio. Dopo sei mesi di guerra il quadro è drammatico. La più grande crisi di rifugiati al mondo. Lo spettro di una recessione in molti Paesi, trainata da un’inflazione pervasiva, proprio nell’anno in cui era attesa una vigorosa ripresa economica post pandemia. Una crisi energetica di dimensioni globali, ma particolarmente seria in Europa. E una potenziale crisi alimentare capace di mettere in difficoltà diversi Paesi africani e mediorientali.

    Sei mesi di guerra, circa 45.000 soldati russi morti, 9.000 gli ucraini, stando alle cifre di Kiev, mentre Mosca non si esprime né sui propri né su quelli altrui. Numeri in ogni caso da prendere con le molle, dato che provengono da una delle parti in causa. Le Nazioni Unite tengono il conteggio delle vittime civili, circa 13.500, ma si tratta solo dei casi verificati, il bilancio complessivo è sicuramente maggiore. Un quinto del territorio ucraino sotto controllo russo, contando anche le regioni del Donbass e la Crimea, annessa nel 2014.

    La scadenza dei sei mesi di guerra ha coinciso con la ricorrenza della dichiarazione di indipendenza dell’Ucraina dall’Unione Sovietica, sancita nel 1991. Una coincidenza che è lotta per la sopravvivenza dello Stato ucraino e resistenza, con le parole del presidente Zelesnky: “L’Ucraina si batterà fino alla fine contro l’aggressore russo e non farà alcuna concessione o compromesso con il nemico. Non cercheremo di arrivare a un’intesa con i terroristi. Per noi l’Ucraina è l’intera Ucraina: tutte le 25 regioni, senza alcuna concessione o compromesso”.

    Avrebbe dovuto essere una “guerra lampo”. Così era convinto Putin. Si è rivelata invece una guerra di resistenza, impensata da parte da un piccolo Paese che si è dimostrato ben più determinato e preparato di quanto si potesse supporre. Gli aiuti occidentali e americani sono stati comunque importanti, sia dal punto di vista psicologico, sia militare, sia strategico. Così come l’accoglienza riservata a migliaia di profughi. Ma anche la Russia ha i suoi sostenitori, a cominciare dalla Cina. E questo comporta continue preoccupazioni perché quello che è stato finora un conflitto locale, potrebbe diventare mondiale.

    Non si può sottovalutare nulla e sin dall’inizio la diplomazia ha avuto una parte importante, quantunque finora ininfluente. Le speranze di un qualche risultato si sono riaccese in queste ultime settimane con la shuttle diplomacy turca. Nella crisi ucraina la Turchia è un pezzo importante del puzzle regionale: se la posizione turca appare a volte contraddittoria, è perché la Turchia è precariamente incuneata tra Russia e NATO, sia geograficamente che diplomaticamente.

    La speranza della Turchia è quella di evitare ogni spostamento degli equilibri internazionali sia per impedire un’espansione territoriale della Russia sul Mar Nero e di conseguenza sul Mediterraneo, sia per preservare l’integrità territoriale dell’Ucraina e la sua minoranza tatara. Ma si sta muovendo anche il Vaticano, la cui potenza diplomatica potrebbe rivelarsi fondamentale.

    Le cronache registrano anche le accuse di “arrendevolezza dell’Occidente” per sottolineare che il sostegno degli alleati, in particolare dei Paesi dell’Ue, si sarebbe progressivamente ridotto.  La verità è che la Nato ha avvertito l’Occidente sulla possibilità di una lunga guerra e che sarebbe stato a fianco dell’Ucraina. La decisione non è mai cambiata e nessun alleato sta forzando l’Ucraina ad aderire a eventuali negoziati per il cessate il fuoco.

    I russi in qualche modo stanno capendo che sul fronte le cose non stanno andando come vorrebbero, perché sono arrivati alla loro potenzialità massima. La postura militare è più difensiva: si registrano infatti tentativi da parte russa di ricercare il negoziato. Quello che vorrebbe Putin è un cessate il fuoco, lasciare le truppe sul posto, demilitarizzare la zona del conflitto. L’Ucraina vorrebbe invece che la Russia lasciasse tutto il territorio. Congelare lo status quo vorrebbe dire dare alla Russia l’opportunità di riorganizzarsi e riprendere l’offensiva tra qualche mese.

    E così, a sei mesi dall’inizio, la guerra in Ucraina continua con passo lento la sua opera di logoramento di entrambi i fronti, nel timore tuttavia di “un passo eccessivo” delle forze di Kiev che provochi un’escalation da parte della Russia. In assenza di scossoni, gli osservatori prevedono che la guerra terminerà con un “pareggio sul campo” e una linea di demarcazione come quella che divide le due Coree.

    a/f