San Marino. ACCORDO DI ASSOCIAZIONE UE. La sentenza del Collegio dei Garanti n.5/2025 potrebbe essere NULLA … di Marco Severini

La democrazia diretta a San Marino rappresenta un elemento fondante dell’ordinamento costituzionale, sancito dalla Dichiarazione dei Diritti e rafforzato dalla Legge Qualificata 29 maggio 2013 n.1 (L.Q. 1/2013), che disciplina il referendum e l’iniziativa legislativa popolare. Si tratta di strumenti concepiti per garantire ai cittadini un ruolo attivo nelle decisioni di maggiore rilevanza politica, sociale e istituzionale.

In questo contesto, il Collegio Garante della Costituzionalità delle Norme ha una funzione delicatissima: vigilare che il ricorso alla democrazia diretta avvenga nel rispetto delle regole formali e sostanziali fissate dalla legge e non dare interpretazioni pseudo-politiche al quesito referendario.

La recente Sentenza n.5/2025, datata 22 settembre, con cui il Collegio ha dichiarato irricevibile e inammissibile il referendum propositivo sull’associazione all’Unione Europea promosso dal Comitato “i CapiFamiglia”, ha però suscitato non poche perplessità sia sulla forma che sul merito.

Senza mettere in discussione l’integrità dei giudici, è doveroso evidenziare come ritardi nella pronuncia e una lettura restrittiva del quesito contrastino con le norme vigenti e con i precedenti giurisprudenziali, rischiando di limitare ingiustificatamente l’esercizio della sovranità popolare.

I ritardi nella pronuncia, un termine violato che pone dubbi sulla validità dell’atto

La L.Q. 1/2013 è chiara nel delineare i tempi del procedimento referendario, proprio per garantire speditezza e trasparenza.
• L’art. 9 stabilisce che la Reggenza debba trasmettere la richiesta al Collegio, il cui Presidente convoca l’organo entro venti giorni.
• L’art. 10, comma 5, impone che il Collegio “pronunci la propria sentenza nel termine di venti giorni dalla data di convocazione”.

Il legislatore utilizza il verbo “deve”, indice di un termine perentorio, volto a prevenire ritardi che potrebbero pregiudicare il diritto dei cittadini a ricevere una decisione in tempi certi.

Nel caso in esame, l’udienza pubblica si è svolta il 1° settembre 2025. In base ai termini previsti dalla legge, la decisione avrebbe dovuto essere adottata entro il 21 settembre. Poiché tale data cadeva di domenica, la legge consente il deposito il giorno successivo, ossia lunedì 22 settembre.

Il problema, però, è che la sentenza risulta non solo depositata, ma anche emanata e sottoscritta in data 22 settembre, oltre quindi il termine perentorio del 21 settembre. La trasmissione via PEC è avvenuta, invece secondo norma, lo stesso giorno, con attestazione definitiva il 23 settembre.

Non si tratta di un dettaglio formale, ma di una questione sostanziale: se la legge stabilisce termini precisi, questi vincolano tutti, inclusi i giudici. In caso contrario, si finisce per introdurre un’asimmetria intollerabile, dove ai cittadini viene richiesto il rispetto assoluto delle scadenze, mentre agli organi giurisdizionali è consentita una deroga di fatto non prevista.

Questa discrepanza temporale, pur minima, non è un dettaglio trascurabile:
• la legge non prevede proroghe;
• la giurisprudenza del Collegio stesso (es. Sentenza n.10/2013) ha insistito sulla necessità di “celerità” e “speditezza”;
• in ordinamenti comparabili, il superamento di un termine perentorio rende l’atto tamquam non esset.

Inoltre, l’art. 10, comma 4, della L.Q. 1/2013 ammette espressamente impugnazioni per violazioni delle formalità. Ne deriva che la pronuncia potrebbe essere contestata proprio per questo vizio temporale.

Il rispetto delle tempistiche non è un tecnicismo, ma una garanzia di imparzialità e certezza: se il Collegio non osserva i propri termini, è difficile pretendere rigore assoluto da parte dei promotori referendari.

La contrapposizione con la L.Q. 1/2013 e la Sentenza n.4/2010: un revirement ingiustificato

Ancora più significativa è la questione interpretativa.

Il precedente del 2010

La Sentenza n.4/2010 aveva ammesso un quesito referendario molto simile: “Volete Voi che la Repubblica di San Marino chieda di fare parte dell’Unione Europea?”. Allora il Collegio ritenne che:
• il referendum fosse un atto di indirizzo politico, non vincolante sulla ratifica dei trattati;
• il limite ai referendum sui trattati internazionali dovesse valere solo per le ratifiche definitive, non per gli indirizzi pre-negoziali;
• la volontà popolare dovesse essere rispettata come espressione della sovranità sancita dall’art. 2 della Dichiarazione dei Diritti.

L’impianto della L.Q. 1/2013

La legge del 2013 ha confermato questa impostazione:
• l’art. 2, comma 2, rafforza il “favor referendum”, prevedendo la possibilità di quesiti propositivi e di indirizzo per definire principi e criteri direttivi;
• l’art. 3 esclude solo alcune materie (tributi, bilancio, ratifiche di trattati), ma non i processi negoziali in corso;
• l’art. 10 limita il controllo del Collegio a requisiti formali e di chiarezza del quesito, non a valutazioni sugli effetti politici.

La svolta del 2025

La Sentenza n.5/2025, invece, ha ritenuto, singolarmente, il quesito inammissibile in quanto  “tardivo o prematuro”, considerando le negoziazioni con l’UE ormai concluse o prossime alla conclusione. Si tratta di un’interpretazione che:
• estende arbitrariamente il divieto della L.Q. 1/2013, non previsto dalla norma quindi contra legem;
• contraddice il precedente del 2010, che ammetteva quesiti analoghi;
• riduce il margine di intervento della cittadinanza su scelte di natura sovranazionale, che è la cosa più grave.

questo revirement (dal francese ‘‘cambiamento di rotta’‘ ed  in gergo giuridico ‘cambio di orientamento giurisprudenziale’) appare ancor più problematico, poiché a San Marino i precedenti del Collegio Garante hanno valore assimilabile a legge e dunque non possono essere superati senza un intervento normativo esplicito) appare privo di una motivazione normativa sostanziale: ciò che nel 2010 era ammissibile, oggi diventa irricevibile, nonostante una legge che ha ampliato le possibilità di ricorso al referendum.

Tutto ciò è oltremodo singolare.

I profili formali sulle firme: rigore eccessivo o garanzia necessaria?

Un ulteriore punto riguarda la verifica delle firme. Su 78 sottoscrizioni presentate, ne sono state considerate valide 59 quando la soglia minima era di 60!, mentre 19 sono state escluse per irregolarità considerate “insuperabili” (mancata autenticazione, errori anagrafici).

Pur riconoscendo l’importanza della correttezza formale, si osserva che lo stesso Collegio, nella motivazione, ammette che taluni errori possono essere sanati alla luce del principio del favor partecipationis, ma è anche lo stesso articolo 10 comma 4 che, parimenti, dice che è sanabile. Perché, allora, questo criterio non è stato applicato?

La conseguenza è un rigore selettivo che rischia di sacrificare la sostanza, cioè la volontà chiara di cittadini regolarmente iscritti,  a favore di una forma eccessivamente penalizzante e questo è oltremodo, a mio parere, non corretto.

Occorre una riforma per garantire equità e tempestività

La Sentenza n.5/2025 pone dunque tre criticità principali:
1. il ritardo nella pronuncia, in contrasto con termini che appaiono perentori;
2. un’interpretazione restrittiva delle norme, incoerente con la L.Q. 1/2013 e con il precedente del 2010, contraria ai precedenti di legge.
3. un’applicazione non uniforme del principio di favor referendum nella valutazione delle firme.

Questi elementi non minano l’istituzione del Collegio, ma pongono la necessità di una riflessione: l’organo garante, nato per tutelare la sovranità popolare, rischia di trasformarsi in un filtro eccessivamente restrittivo.

Sarebbe quindi opportuno limitare il giudizio di ammissibilità alle sole formalità, evitando valutazioni politiche e rafforzare il principio di favor referendum, per valorizzare la sostanza rispetto a meri formalismi.

Solo così la democrazia diretta potrà rimanere un pilastro autentico della Repubblica, capace di esprimere senza ostacoli la voce dei cittadini su scelte decisive come il rapporto con l’Unione Europea.

E … Beccari non rida troppo, siamo solo all’inizio!

 

Marco Severini – direttore del GiornaleSM